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Diaconia

| Enzo O. Verzeletti


2 febbraio, giornata della vita consacrata...

Sebbene la parola “diaconia” risulti per qualcuno poco comprensibile, è ancora usata con disinvoltura nel gergo ecclesiale, non foss’altro perché ha a che fare col “diacono”.

Ci si potrebbe anche chiedere se sia utile o meno continuare ad usarla – rischiando di essere incompresi – al posto di “servizio” o “aiuto”.
Per afferrare meglio il senso che il termine veicola, ritornerei al suo uso nel Nuovo Testamento, passando prima dal mondo greco.

Diaconia, in greco classico, designava un servizio, pubblico o privato, e più spesso il servizio a tavola: il diacono era un servitore, addetto alla tavola del padrone, frequentemente uno schiavo; il diacono poteva anche ricevere compiti da messaggero o rappresentare il padrone in situazioni particolari. Ciò non toglie che il suo servizio fosse considerato per nulla prestigioso; i servi erano necessari per alleggerire il padrone dalle incombenze banali e per lasciarlo libero di occuparsi di cose serie e importanti: la vita della città, l’azione politica.
Platone parlava del servizio come di qualcosa d’indegno e disonorevole per un uomo libero.

Chi è il più grande?
Se crediamo ai vangeli, Gesù, al contrario di Platone, ha fortemente valorizzato la nozione di servizio. È addirittura in questi termini che definisce la propria missione.
Nel vangelo di Luca, quando i discepoli bisticciano tra loro per sapere chi è il più grande, Gesù li interroga: “Chi è il più grande, colui che è seduto a tavola o colui che serve? Non è forse colui che è seduto a tavola? Pertanto, io sono in mezzo a voi al posto di colui che serve”.[1]
Con questa conversazione, Gesù “graffia” i reucci, che schiavizzano il popolo e che, per di più, vorrebbero passare per benefattori.
Io sono in mezzo a voi al posto di colui che serve”: questa affermazione di Gesù - come altre simili nei Vangeli - è collocata nel contesto della Passione. In Luca poco prima dell’arresto, quando Gesù ha appena celebrato la Cena con i discepoli e ordinato loro di ripetere gli stessi atti in sua memoria, dopo la sua morte.
La più grande diaconia operata da Gesù è accettare la condanna a morte, per difendere la sua comprensione di un Dio d’amore e lasciarla in eredità al mondo.
Affinché altri, fatte proprie le ragioni ultime di un simile sacrificio, possano servire in nome della fratellanza contro ogni forma di barbarie.
Nel vangelo di Giovanni, l'ultimo, troviamo il racconto della lavanda dei piedi al posto dell’ultima cena.
La vedo come un avvertimento: senza dubbio c'erano conflitti di potere nella Chiesa antica, per stabilire chi avesse veramente il diritto di celebrare l'Eucaristia. Giovanni suggerisce qualcosa di simile a questo: “Se combatti per stabilire chi ha il diritto di presiedere all'Eucaristia vuol dire che non hai capito nulla, perchè l'Eucaristia non è questione da padroni, ma da servo l'uno dell'altro, come sono io, quando vi lavo i piedi”.

Siamo tutti servi. Quando tutti capiremo questo, ma soprattutto saremo coerenti nell’azione, svaniranno sia i servi che i padroni. Rimarranno solo uomini liberi.
Non esisterà gerarchia tra i Figli di Dio, perché non avremo più bisogno di esercitare l’autorità legale, laddove il rispetto, la solidarietà e l’aiuto reciproco non avranno più bisogno di essere imposti da una norma esterna. La Legge del Cristo sarà scolpita nell’anima.
Perché questo si realizzi presto e non costi ancora vite su vite, ciascuno deve cominciare ora. La vera nobiltà d’animo, la trasformazione, la trasfigurazione è nella consapevolezza, a tratti manifesta in tutto il suo splendore, di un servire per amore.

Non parlava forse di diaconia il profeta Isaia?
"…dividere il pane con chi ha fame, aprire la casa ai poveri senza tetto, dare un vestito a chi non ne ha, non abbandonare il proprio simile.
Allora sarà per te, popolo mio, l'alba di un nuovo giorno, i tuoi mali guariranno presto. Ti comporterai davvero in modo giusto e il Signore ti proteggerà con la sua presenza. Quando lo chiamerai egli ti risponderà; chiederai aiuto e lui dirà: 'Eccomi'.
Se tu smetti di opprimere gli altri, di disprezzarli, di parlarne male,
allora la luce scaccerà l'oscurità in cui vivi. Se dividi il tuo cibo con chi ha fame e sazi il povero, la luce del pieno giorno ti illuminerà.
Il Signore ti guiderà sempre: ti sazierà anche in mezzo al deserto e ti restituirà le forze. Sarai rigoglioso come un giardino ben irrigato, come una sorgente che non si prosciuga.
Allora rialzerai le vecchie rovine, le ricostruirai sulle fondamenta abbandonate da tanto tempo. Sarai conosciuto come 'Il popolo che ripara le spaccature delle mura e ricostruisce la città per riabilitarla".[2]

 

[1] Lc 22,27.

[2] Is 58, 7-12, trad. TILC.


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