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Sull'eguaglianza

| Marina Greco | CEM Editoriali Storici, Domenico Calarco sx


Ci siamo prostituiti alla diseguaglianza - 1976/3

“Meno slogan e più fatti” ha risposto Rosanna, alunna di terza media, intervistata sulla natura e sulle esigenze dell’uguaglianza tra gli uomini.” Così comincia l’editoriale di CEM Mondialità n. 3 del 1976, appartenente alla serie sui valori dell’umanità. Il valore oggi in questione è, quindi, “l’eguaglianza”...
È forse improprio dire che l’eguaglianza abbia esigenze: probabilmente è un gruppo ancora troppo poco numeroso di uomini e donne ad avere esigenze radicali rispetto alla realizzazione dell' “eguaglianza”; è anche abbastanza discutibile sostenere che mondo cristiano e non, attraverso orientamenti, scelte politiche e di governo, stia lavorando per concretizzarla in pratiche quotidiane e condivise.

Parlare di eguaglianza in rapporto agli esseri umani, per di più su scala mondiale, significa anche dar conto dell’idea che ne abbiamo almeno su tre livelli: eguaglianza dei diritti, eguaglianza delle condizioni, eguaglianza di doti e risorse naturali.
Il primo livello riguarda l’etica, il secondo riguarda la politica e i governi, il terzo riguarda la natura ed è l’unico sul quale gli esseri umani hanno un potere assai limitato.
Il semplice buon senso suggerisce che l’ eguaglianza di doti e risorse naturali non esiste; se andiamo ad osservarla da vicino troviamo al suo posto un’enorme ricchezza nella diversità e nella molteplicità. Questo tipo di “diseguaglianza” si trasforma in un’opportunità, ma soltanto se la visione di fondo, che ispira l’azione pratica rimane saldamente radicata nella ricerca del bene comune. Proprio per questo nei motti egalitaristi troviamo l’eguaglianza sempre accanto alla fraternità; c’è da dire anche che i progressi pratici verso l’eguaglianza comportano in genere perdita di efficienza e restrizioni della libertà.
Questi ultimi due elementi sono in netto contrasto con lo sviluppo dell’ordine capitalista e dei suoi due capisaldi: il profitto e la proprietà privata.
Ciò dimostra che l’idea di “libertà”, ereditata dal passato in stretta correlazione con quelle di “eguaglianza” e “fraternità”, si trova in un rapporto ambivalente, se non inverso, con le ultime due. A rigore ciò comporterebbe un “sacrificio” del benessere capitalista in favore del bene comune.
Questi sono “fatti” sui quali è necessario tornare a riflettere con minore superficialità, per dirimere questioni complesse che oggi tengono sotto scacco, in Italia, come in Europa e nel resto del mondo, gli eredi culturali e spirituali non solo della tradizione cristiana, ma anche di quei movimenti filosofico-politici di emancipazione, che si sono battuti per una società più giusta.
Il risultato di un impegno in questa riflessione a carattere progettuale dovrebbe consistere in un equo bilanciamento fra il bene del singolo, delle comunità e della società umana nel suo insieme e gli interessi strumentali delle corporazioni che generano profitti.
In questo senso il lavoro, di cui parlavamo la volta scorsa, non si dovrebbe comprare o vendere, come la stessa locuzione "mercato del lavoro" lascia intendere, ma dovrebbe essere il centro decisionale e operativo delle comunità umane, tenendo ben presente il dato di fatto attuale: siamo in una società complessa, multiforme, multiculturale e sostanzialmente ancora iniqua, perchè intessuta anche sullo sfruttamento dell'uomo e della donna.
In altri termini rimane ancora fragile la valenza essenziale ed esistenziale del termine "eguaglianza": l'essere tutti esseri umani allo stesso titolo su tutta la terra e,in aggiunta, a "tempo determinato".

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DOMENICO CALARCO
Ci siamo prostituiti alla diseguaglianza, in "CEM Mondialità", IV 1975-76/3, p. 3.

“Meno slogan e più fatti” ha risposto Rosanna, alunna di terza media, intervistata sulla natura e sulle esigenze dell’uguaglianza tra gli uomini. Una risposta che è un atto di accusa all’odinam ento della nostra società, fondato sulla discriminazione e sul privilegio. Una risposta che è partecipazione all’umiliazione e alla sofferenza degli emarginati, rifiutati da una società che li considera inferiori.
Dopo duemila anni si ripete il rifiuto di cui il Cristo è stato vittima: "non c'era posto. . . nell’albergo". E nella nostra società, che proclama l'eguaglianza in dignità e diritti di tutti gli esseri umani, non c'è posto per milioni di uomini che vivono discriminati e oppressi, nonostante "non vi sia alcuna ragione fondamentale che possa imporci una distinzione di rango tra gli uomini" (Joken Nishikawa, da “Memorie di un cittadino").
Non c'è posto per chi appartiene ad una razza, una storia e una civiltà diverse dalle altre: i Neri negli USA e in Sudafrica, i Kurdi nell'Irak , i Kirdi nel Camerun, i "Paria " in India, gli Indios nell 'Amazzonia, i “Primitivi” in Australia.
Ha scritto un giovane nero: "Non vorrei rinascere bianco, per ché non sopporterei l 'idea di offendere quelli della mia razza. Non vorrei essere nero per non subire tanti soprusi. Forse sceglierei di essere un animale".
Non c'è posto per chi è diverso p er condizione fisica o sociale: i vecchi e i solitari, gli handicappati, i drogati, i lavoratori stranieri, gli emigranti "meridionali".
Una comunità giovanile così testimonia: “L'atteggiamento dei settentrionali è noto: un atteggiamento di difesa al solo sentire la parola ‘meridionale’. Il più delle volte si cerca di evitare qualsiasi rapporto con queste persone, quasi f ossero affette da malattie infettive. Quanti meridionali si vedono negare l'alloggio, p erché il padrone di casa affitta solo a piemontesi!”
Non c'è posto nel mondo di una minoranza ricca che vive sperperando, per la maggioranza dell'umanità che lotta p er sopravvivere.
''Noi stiamo pagando – afferma L.S. Senghor – le spese del continuo miglioramento del livello di vita dei popoli sviluppati".

E quanti insegnanti, per la loro condotta discriminatoria nei riguardi degli alunni ricchi e degli alunni poveri (valutazioni, modi di trattare e di dialogare, ecc.) potrebbero dire di non meritare il monito biblico, rapportato al "tempio della scuola "?
"Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: 'Tu siediti qui comodamente', e al povero dite: ‘Tu mettiti in piedi lì  oppure: ‘Siediti qui ai piedi del mio sgabello’, non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?" (dalla Lettera di Giacomo 2, 2-4).

Ci siamo un po' tutti prostituiti alla disuguaglianza. Con la scusa di evitare l’uniformità, accettiamo e difendiamo qualsiasi tipo di discriminazione, giustificandola con l'esigenza della diversità nell’uguaglianza. Ma se ad ognuno non vengono concessi gli stessi mezzi, o mezzi equivalenti, idonei allo sviluppo integrale secondo le esigenze della sua p ersonalità, la diversità diventa ineguaglianza, alla quale sono sacrificati sia il principio della dignità della persona umana, sia il principio della fondamentale eguaglianza di tutti gli uomini.
Non è sufficiente che ci si lavi le mani di fronte alle disuguaglianze, proclamando semplicemente che "tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela contro ogni d iscriminazione...”.
La società - ciascuno di noi con le sue responsabilità personali e comunitarie – non ha solamente il dovere di proclamare dei diritti, ma anche di assicurarne il godimento, cioè assicurare che tutti possano effettivamente usarne.

Tutti siamo coinvolti perché l'eguaglianza tra gli uomini da idea ed aspirazione divenga realtà, giunga a maturità : "Tutti si muovono in uno stesso carro dell'umanità, / tutti hanno dal Creatore un cuore palpitante. / Perché / non aprono il cuore a riscaldare un po' il viaggio?” (Anonimo cinese).