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Tra l'hard e il soft

| Enzo O. Verzeletti - 07/11/2017


Hard e soft, parole anfibie che si infilano dappertutto e si sposano con il “-ware” dell’informatica; con il “-power” degli stati, con il “-politics” dei governi – c’è a chi piace una hard e a chi una soft Brexit – e pure con il “-core” del mercato della pornografia. L’hard e il soft sono parte del vocabolario contemporaneo, memoria integrata nella società dello spettacolo.

La pornografia nel frattempo è un soggetto ormai a pieno titolo, vista l’aria che tira o il tempo che fa…; illustrativo del miscuglio, dell’inglobamento, in una cultura appunto, di immagini erotiche, costumi lubrici e altri gesti maliziosi, frizzi e lazzi.

A dire il vero illustra ancor meglio la difficoltà a parlare chiaro.
Perché, effettivamente, si può anche essere stanchi di parlare o sentir parlare su questo tema, perché ci si aspetta di trovarsi, ancora una volta, davanti ad una sorta di fascinazione per un genere di provocazione facile della morale, a una critica del buon gusto o, in alternativa, ad un ennesimo grido di allarme sulla banalizzazione del senso nella cultura attuale.
Qui, non si tratta assolutamente di questo.

Com’è entrato in scena l’osceno?
Più precisamente: per quale via l’esibizione dell’oscenità, con conseguenti performances, e occhi da “grande fratello”, è stata globalizzata anch’essa, e come mai la rappresentazione dell’osceno è entrata nel quotidiano, occupando il palco, lo studio, lo schermo senza alcun tipo di scherno?
E come cogliere e interpretare quest’osceno che non è più soltanto messo in scena, separato e trasgressivo, ma dissimulato, infiltrato e pervasivo?

Anche questo è un paradosso dei giorni nostri. Una norma che vieta gli atti osceni in luogo pubblico (quelli evidentemente visibili per strada e non sullo schermo) può coesistere con un costume che considera normale la rappresentazione degli stessi sui media. Infine se ne dibatte. Fa parte del paradosso: quanto più è esibito, osceno e dibattuto, tanto più si trasforma nel triste e malaugurato presagio della realtà svanita, del corpo vilipeso, della carne rappresentata, esposta, svenduta, palpata, in definitiva tradita.

Bambole di plastica – vere e proprie emoticon gonfiabili - robots del sesso, frutto dell’avanguardia della sperimentazione nel campo dell’intelligenza artificiale mostrano platealmente l’inconsistenza dall’espressività fasulla, che scimmiotta un femminile derubato, estraniato, esiliato.
Nulla di più lontano dal carnale può esistere. Possibile che non suscitino logico rifiuto, derisione, anche ribrezzo?
Come assistiamo ad una tale miserabile farsa?
Da dove viene questo osceno fuori-scena della carne viva, del corpo autentico delle persone per quello che esse sono?

Forse si ripescano dimenticati desideri da un fuori scena che non si riesce più a vedere, a trovare, ad ammettere in se stessi e a vivere nella relazione?
Paradossale libertà di essere in schiavitù.

Non si può più giocare agli indignati, inneggiare alla legalità, cantare sulla vittoria dei buoni sentimenti, mentre sotto i piedi cedono friabili le macerie dell’astensionismo dal pensiero, dalla parola, dal cuore…e dal voto: macerie prime.
L’uomo attuale rischia di trasformarsi nell’irreale rappresentazione di sé: impresentabile, collusa, truffatrice, assuefatta all’insostenibile leggerezza dell’essere, all’inconsistenza del soft, incastrata nel paradosso di una memoria sempre vergine.

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