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Cura e premura

| Enzo O. Verzeletti - 17/11/2017


Leggevo nei giorni scorsi: “La pericolosità del glifosato non è più da dimostrare: è provata scientificamente!”
Andavo oltre e continuavo a leggere: “Il carattere inoffensivo del glifosato non è più da dimostrare: è provato scientificamente!”
Non nascondo lo sconcerto, soprattutto ora, essendo arrivato ieri il nullaosta della UE all’uso dell’erbicida più diffuso, il glifosato appunto,

per i prossimi cinque anni[1] e che solo in primavera avremo dati sulla trasparenza delle procedure di autorizzazione nell’uso di pesticidi da parte della stessa UE.[2]
Questione di orientamento scientifico?
In ogni caso, clima e politica a parte, ciò che leggevo nei giorni scorsi sulla pericolosità o non-pericolosità del glifosato aveva qualche somiglianza con le affermazioni del lunedì mattina al bar di due tifosi, uno della Lazio e l’altro della Roma, che abbiano visto il derby la sera prima. Dai commenti sembra che abbiano guardato due partite diverse.

Studi di ricercatori, qualificati da ambo le parti, non mancano, saranno magari anche completi, dettagliati, precisi, però conducono a conclusioni opposte.
La verità, anche se sfumata, ne sono convinto, esiste, quindi l’aspetto: è dovuta.
A meno che non sia molto difficile da stabilire. In ogni caso va chiarito, quanto è cancerogeno il glifosato? Se non si è in grado di stabilirlo, non può essere usato: è un “gioco” che non si può giocare perché la posta – la salute dei cittadini - è troppo alta. La mela mangiata da Adamo ed Eva sembra una bambinata (con rispetto parlando) in confronto a questo nuovo gioco.
Saremo costretti a porre domande che vanno oltre: i governi, e l’Unione Europea, che dovrebbero salvaguardare i cittadini, prendono decisioni che ritengono essere sinceramente le migliori? Per noi oggi e per i nostri figli domani? Oppure prendono decisioni che ritengono essere più popolari, confortanti, corroboranti, esaltanti oggi le loro posizioni, e domani la loro rielezione?
La comunità scientifica è divisa! Ma anche la ricerca scientifica ha bisogno di denaro.
Quindi c’è competizione e concorrenza anche qui e cercare finanziamenti è un mestiere diverso da quello del ricercatore: occorrono qualità, estro, diplomazia, istinto, talento, eloquenza, senso politico, forza di seduzione.
Se poi la corsa al finanziamento deve rinnovarsi più volte in un anno, a discapito del cuore della professione dei gruppi di ricercatori, senza difficoltà ci si immagina che l’etica potrebbe anche evaporare.
È facile concludere il ragionamento con la sintesi classica e squalificante, guardando alla provenienza dei fondi; non è mai unica, ma anche un pugno di dollari, iniettato da alcuni in un budget importante, potrebbe essere sufficiente a rendere il tutto molto sospetto o non degno di interesse.

Noi sogniamo una ricerca scientifica il cui finanziamento sia figlio della cura e della premura per il genere umano.
Quello che ci aspettiamo è una certa umanità, che irrighi e illumini in profondità il nostro desiderio di fare bene, ecco quindi quello che chiediamo ai governi e all’Unione, e alle singole persone che operano in quei contesti: la dimostrazione della loro umanità. E la capacità di dire “no” a ciò che va contro il bene comune.

L’intero processo all’interno del quale si attua la ricerca scientifica è importante per il dibattito pubblico, perché conduce ad una riflessione profonda sulle vulnerabilità della società mondiale, intesa come la somma dell’ambiente fisico, dei suoi abitanti e delle loro prospettive per l’avvenire. Uomini e donne non sono separati dalla terra: visti da un altro pianeta faremmo parte del panorama, come una delle tante specie che lo popolano.
La soluzione secondo noi può essere progettata rivedendo le tassonomie dei bisogni che abbiamo in testa: abbiamo bisogno di salute, prima che di profitti. E questo vale tanto per la produzione di agenti chimici, quanto per la produzione di armi, tanto per il controllo delle rotte di transito delle scorie nocive, quanto per il controllo delle rotte di smercio degli stupefacenti.
Ognuno, tutti i giorni, può fare progredire la causa ecologica e la causa della salute del genere umano.

Sempre ieri – sia detto fra parentesi - il presidente francese tuonava da Boulogne – Billancourt, a proposito della sfida climatica, dicendo che “Stiamo perdendo la battaglia, non possiamo sbagliare.”[3] Facile accusarlo di usare un tono apocalittico.
La questione, come dicevo già la settimana scorsa, non è ecologica: è prima di tutto antropologica.
Non bisogna più votare candidati che pretendano di favorire la crescita economica, lasciando il mercato disporre del nostro avvenire e della nostra salute. Mille volte meglio sarebbe una decrescita felice, per quanto ingenua e poco sofisticata possa sembrare, se può salvaguardare la salute del genere umano.
Il cambiamento personale del modo di vedere il problema è al cuore della questione, ed è tanto più urgente per il politico che aspira a rappresentare gli interessi dei cittadini. In questo consiste la sua specifica responsabilità.
Qualche dubbio sorge sull’esatta comprensione di questa responsabilità da parte della nostra politica, se un ministro italiano al One Planet Summit di Parigi si esprime dicendo che la sfida sul clima è “un’occasione per l’economia”.

 

[1] http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/glifosato_ue_si-3423957.html

[2] http://www.meteoweb.eu/2017/12/glifosato-rinnovo-ue/1015147/

[3] http://www.lastampa.it/2017/12/12/scienza/ambiente/focus/macron-e-la-sfida-sul-clima-stiamo-perdendo-la-battaglia-non-possiamo-sbagliare-HUcYr0yDBYVZD5vepCYrCP/pagina.html