Skip to main content

Custodi della fragilità

| Enzo O. Verzeletti - 17/11/2017


Atmosfera natalizia: al confluire della liturgia religiosa, degli stili di vita, delle tradizioni popolari riconosciamo un clima che genera rituali sociali costantemente reinventati, ibridi, provvisori, spesso strumentalizzati e finalizzati al consumo; immancabile la presenza di coloro che denunciano un vero e proprio fastidio rispetto a tutto questo.

Il termine "natale" per me rinvia al momento storico della Nascita di Gesù di Nazareth, ma è anche un invito a riflettere sulla nascita in senso più ampio.

La nascita si manifesta in un accadimento di cui si fa esperienza da sempre e in ogni luogo in modo diverso secondo la cultura di appartenenza e i modelli del vivere la continuità e la contiguità generazionale.
Questo accadimento, del tutto naturale, ma relativamente indipendente dalla volontà cosciente, comporta qualcosa di misterioso, che sfugge al totale controllo delle capacità umane e può destare interrogativi animati da sentimenti diversi: gioia, trepidazione, preoccupazione, speranza, timore e perfino paura e rifiuto. Per questo esistono studi e ricerche sia nel campo delle scienze mediche, che nell’ambito delle scienze umane. La nascita si trasforma in evento da studiare, da analizzare, da facilitare, da rendere sicuro, indolore, da ottenere, oppure, al contrario, da prevenire, da evitare, da fermare.
Tanta scienza, tante energie sono profuse attorno alla nascita di volta in volta affettivamente vissuta come lieto evento da promuovere o come esito indesiderato da eliminare.
La nascita è una questione inquietante; non a caso lo è anche il trapasso, perché si tratta di passaggi, incerti, non del tutto visibili, sui quali non sappiamo tutto, e attorno ai quali non possiamo mai parlare con totale cognizione di causa.
Singolari o banali, tragiche o felici, le parole tentano di dire il ripetuto, onnipresente, quotidiano, unico, “abituale miracolo” di ogni nascita.

E se provassimo a partire da lontano, da molto lontano? Dal primo uomo, dalla prima nascita?
Cos’abbiamo conservato dei primi uomini? Si possono ancora scoprire delle nuove specie umane? Perché l’albero filogenetico dell’uomo è così complesso? Quali sono le grandi evoluzioni passate e quali quelle a venire?
Dev'esserci stato un tempo antichissimo in cui l’albero filogenetico dell’umanità aveva un tronco, pochi rami e tutto andava avanti senza pensiero critico, ma con molto impegno pratico. Questo succedeva prima, tanto tempo fa. Dopo, quest’albero relativamente poco frondoso è diventato un enorme cespuglio fitto e intricato.
Di scoperta in scoperta, di specie in specie, nulla è stato mai semplice.
Ci sono forse state più origini di specie umana, delle quali alcune avrebbero coabitato e si sarebbero meticciate? Alcuni ceppi si sarebbero ritrovati, senza poterne uscire, in un imbuto evolutivo e sarebbero scomparsi? E questa moltiplicazione delle origini rimetterebbe in questione la teoria del primo uomo?
Domande su domande; risposte - decisive, certe - nessuna.

La Nascita di Gesù di Nazareth è l’accadimento centrale del Natale.
“Natale” è un sostantivo maschile che suscita lo sguardo ambiguo dell’uomo sulla donna che mette al mondo un essere umano. Intrigato da ciò che vive la compagna, e che lui non potrà mai vivere, affascinato dall’essere inimmaginabile del quale dovrà ammettere di essere padre, l’uomo non può che tenersi su un margine straniero quando si annuncia il nuovo, quando il bambino appare.
L’uomo, votato a non mettere al mondo che degli oggetti, dei manufatti, delle “cose”, non saprà mai se le sue creazioni sono morte o vive.

E se la nascita autentica, di uomini e donne, non fosse quella biologica?
In effetti si scelgono sempre i propri genitori: nascere vuol dire seminare i propri genitori, cercare, trovare, soppiantare il figlio che si è.
Non è il padre ad essere soppiantato o “ucciso”, ma il figlio. Si lascia indietro il proprio sangue, ci si affranca dai propri “geni”, si lasciano indietro istinti forti come il piombo fuso, si cercano e si trovano altri genitori, altri padri, altre madri: genitori adottivi; si diventa padri e madri, sapendo che i figli se ne andranno.
La “Nascita” non si trova nel mettere al mondo, ma nel mettersi nel mondo.
Nascere biologicamente, pur evento sempre straordinario, ci accomuna ad ogni specie animale, dalle rane ai molluschi.
Nascere a se stessi, nel mondo, è alla portata solo di coloro che hanno l’ardire, l’audacia di adottare i più fragili: gli orfani, i fuggitivi, i deviati, i ribelli piuttosto che i programmati, gli stanziali, i discendenti, i devoti.
Ogni nascita autentica è davanti a se stessi. È la morte che rimane indietro.
Questo il mio augurio di Buon Natale a tutti i giovani e meno giovani del mondo, donne e uomini, che abbiano fatto o meno il presepe con le belle statuine...:
Venite, veniamo al mondo con audacia, custodi della vita, custodi della fragilità.