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Dall'orto degli ulivi

| Enzo O. Verzeletti


Nel periodo pasquale ricordiamo una sequenza di avvenimenti che ebbero luogo in Palestina circa venti secoli fa; li consideriamo molto più importanti e significativi per noi stessi e per tutta l’umanità di qualsiasi altro tratto di storia universale.
Ma che cosa successe veramente?

Gesù di Nazareth, per noi cristiani Figlio di Dio, predicò per tre anni tutto ciò che c’è da sapere sulla natura, sul senso e sullo scopo dell’essere venuti al mondo su questa terra.
Rileggiamo il vangelo di Marco dal capitolo 14 e immaginiamo insieme, ora, di essere lì, a Gerusalemme, venti secoli fa, a partire dal momento dell’arresto di Gesù.
Siamo lì, guardiamo agli eventi, ascoltando, partecipando col cuore, col “vantaggio” di aver letto tutti i vangeli e di sapere quindi, in parte, come evolverà la storia; cerchiamo con coraggio di ricostruirla molto sinteticamente, per averla tutta davanti agli occhi in poche righe, fino alla Pentecoste.

Gesù, il Figlio di Dio, sta pregando, angosciato, il Padre; tra poco sopraggiungerà la folla armata, verrà arrestato, sommariamente processato e giustiziato tramite crocifissione, modalità in uso a quell’epoca, in quei luoghi.
Dopo tre giorni risorgerà, sarà visibile ancora in Galilea ad alcuni per un breve periodo e poi entrerà in un’altra condizione, normalmente non accessibile agli uomini, che chiamiamo “Regno di Dio”.
Di lì a poco il Padre e il Figlio, dal Loro Regno, invieranno lo Spirito su questa terra, per infondere nei discepoli tutta l’intelligenza, l’amore e il coraggio necessari a raccontare questa storia quasi ineffabile a tutti coloro che non vivendo a quell’epoca e in quei luoghi non hanno avuto la possibilità di conoscere direttamente Gesù di Nazareth.
L’insegnamento principale del Maestro si riassume nel nuovo, realmente rivoluzionario comandamento: “Ama il prossimo tuo, come te stesso”.

Sono presenti in molti all'arresto di Gesù: c’è Giuda, “uno dei Dodici”.
È il traditore, quello che vende l’amico innocente, dietro compenso in denaro e con un bacio; lo vende alla violenza della “giustizia”, asservita all’oligarchia del potere politico e religioso; ignora forse le conseguenze ultime del suo gesto.

Ci sono Pietro, Giacomo e Giovanni, altri tre discepoli, mezzo addormentati: i fedelissimi di Gesù.
Sono i fratelli, gli amici, quelli, che hanno altro da fare quando l’amico è nei guai, non riescono a fare la cosa opportuna al momento giusto, neanche quando chi è gravemente in difficoltà è colui che riconoscono come Maestro; soprattutto non si accorgono che in giro c’è un traditore dei loro valori più importanti. Si riscatteranno ampiamente, ma ancora non lo sanno.

C'è la folla anonima armata di spade e bastoni.
Sono quelli che, a seconda di come vengono arringati e in base ai loro mezzi, sono un po’ di qua e un po’ di là; non si capisce mai bene da che parte stiano.
Possiamo immaginarne almeno tre gruppi: una parte è composta da coloro che partecipano attivamente all’arresto di Gesù, una parte da coloro che vi assistono per caso o per scelta, una parte – esigua – da coloro che sono lì a difenderlo.
Fra i primi qualcuno avrà obbedito ad ordini superiori senza discuterne minimamente il senso, senza fare e senza farsi domande, come il servo del sommo sacerdote, altri saranno forse ostili e/o animati da odio generico.
I secondi sono lì per curiosità, per vedere come finirà o per assistere allo “spettacolo”.
Tra i pochi che sembrano essere dalla parte di Gesù, si nota uno che sguaina la spada e stacca l’orecchio al servo del sacerdote.
È quello sempre pronto ad usare d’istinto la violenza per difendere ciò che a lui sembra giusto: la sua vittima, comunque, non è il mandante, è l’esecutore schiavo e privo di un orecchio, mezzo sordo rispetto a se stesso, agli altri e a Dio.
C’è ancora un altro personaggio in mezzo alla folla: un “ragazzo”, “uno che seguiva Gesù”, un tipo strano, che si attarda e non scappa insieme agli apostoli, quello del “lenzuolo”. Non ha un ruolo preciso, sembra piuttosto un “figurante”, per usare il gergo del cinema; non è attore principale, né secondario; appare solo nel vangelo di Marco, non ha un nome.

Sappiamo che compie un passo in più degli altri: si attarda a seguire Gesù, a rimanere lì, e rischia di essere preso.
Lo afferrano, ma il ragazzo lasciando cadere il lenzuolo, riesce, nudo, a fuggire.
A questo punto attardiamoci anche noi sulla scena dell’arresto, facciamo un passo in più, noi spettatori che partecipano col cuore, e mettiamoci per un attimo nei panni del ragazzo, rimasto senza panni, perché è senz’altro vero, che, come in ogni storia, ciascun personaggio offre possibilità d’identificazione.

Mettiamoci nei panni del ragazzo e lasciamoci guidare, come al solito, da una domanda: ma noi, se ci fossimo trovati veramente lì, quale dei personaggi presenti sulla scena dell’arresto saremmo stati?
Lasciamoci “afferrare” da questa domanda…e per ogni personaggio chiediamoci, se, pur non essendo l’attore principale, ha un ruolo nella nostra personale umana esistenza di oggi.
Se siamo stati un po’ Giuda, dovremmo per esempio chiederci: a cosa siamo fedeli quando tradiamo la fiducia di qualcuno? Voglio dire: a quale storia, a quali parole, ma anche a quali fraintendimenti, a quali delusioni cediamo per tradire? O bloccati in quali rigidità impediamo a noi stessi di vedere le cose in modo diverso da come le immaginiamo?

Se siamo stati a volte troppo impulsivi o violenti, come quello che sguaina la spada, dovremmo forse chiederci cosa abbiamo rischiato veramente quando ci siamo adirati violentemente, pensando di difendere cause giuste? La vita, la faccia, oppure proprio nulla? Cosa togliamo agli altri quando li indottriniamo sulle nostre personali convinzioni, approfittando della loro casuale disponibilità? Ci sentiamo veramente liberi di amare, oppure preferiamo farne a meno? Forse pensiamo che nessuno ci ha amato mai? Che nessuno ci stima? Sul serio abbiamo fiducia in noi stessi?
Se talvolta rassomigliamo all'infelice servitore del sommo sacerdote, da chi siamo stati ammaestrati di volta in volta? Abbiamo ubbidito, rendendoci complici d’ingiustizia? Abbiamo mai detto la nostra a qualcuno? Sappiamo cosa vogliamo, comprendiamo le nostre paure, riusciamo a dire la nostra sofferenza? Sappiamo di essere talvolta strumenti di una cronica impossibilità dell’autorità, qui religiosa, ad ascoltare la verità su quanto sta accadendo?

E infine, se mai dovessimo riconoscere una parte di noi stessi in uno o più di questi personaggi, se non risultassero così alieni dall’interiorità di ciascuno di noi, tutti questi figuranti risulterebbero essere così radicalmente diversi tra loro e soprattutto da Giuda Iscariota? Da quello che appare sempre come il peggiore di tutti?
Può essere che dopo un simile esperimento immaginativo, ci sentiamo un po’ in imbarazzo, come fossimo nudi, senza vestiti, senza orpelli, senza maschere che coprano i nostri lati più fragili, che noi stessi giudichiamo essere i meno belli. Proprio come il ragazzo che si è lasciato scivolar via il lenzuolo…
Fin qui, mi pare di poterlo dire con sicurezza, niente di nuovo sotto il sole…ma il bello verrà dopo. Ve lo assicuro: una volta lasciato cadere il lenzuolo…
Lo vedremo presto…ve lo racconto la prossima volta…ora vado ai Vespri...