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Questione di metodo

| Enzo O. Verzeletti - 17/11/2017


Il mese di gennaio è dedicato agli auguri.
Per il 2018 desidero per me e per tutti la vita.
Vorrei ancora vivere, in salute possibilmente,
perché ho ancora da camminare ascoltando, sentendo, pensando e cercando.

Ognuno osa, immagino e spero, esprimere il proprio desiderio più caro.
Vorrei continuare a pensare, camminando, per guardare il bello in tutte le cose.
Non vorrei fare la guerra con le brutture.
Voglio volgere lo sguardo altrove, cercare altrove: per tutto e in grande voglio, in ogni circostanza, non essere altro che qualcuno che continua a camminare e a cercare.
C’è gente che vive tragedie, malattie, catastrofi; so che anche in quei luoghi impervi c’è sempre la possibilità di pronunciare un si, un si alla vita, alla speranza, alla fede, alla ragionevolezza.
So anche che quando si augurano salute, felicità, riuscita si tratta di beni che non si scelgono, si possono solo augurare: arrivano come dono, apparentemente per caso.

Auguro la vicinanza, la prossimità, l’intimità degli affetti: doni che vengono per il tramite di mani e cuori altrui, non sogni romantici o sonni anestetizzati.
Auguro di sperimentare quel lampo frusciante come da tenda che si squarcia al vento: luce che si appalesa, suscitando quel "si" alla vita tutta, che procede sempre diversa ad ogni alba.
Un si al cielo e alla terra: “La tua terra non è semplicemente il posto dove sei nato e vissuto da bambino. La tua terra si espande e man mano che tu vivi le tue radici affondano nel suolo di altri paesi” (Kurt Diemberg).

Camminare al modo di chi cerca è un metodo. Possibile per tutti.
Ogni ricerca comporta un procedimento che permette di giungere al fine. Non c’è un fine qui e un cammino per raggiungerlo da un’altra parte: il cammino fa già parte del fine. Il modo per approssimarsi ad un oggetto, ad un essere, ad una persona, è importante quanto il conoscerla.
In fin dei conti quello che Cartesio aveva intuito è il carattere dinamico del metodo. Si tratta più di uno slancio che di una presa; di un desiderio che cresce man mano che sfiora quello che cerca, piuttosto che di un possesso arrogante e soddisfatto. Anche Ulisse, tornato ad Itaca, se ne ripartì per continuare la ricerca e non sappiamo come sia finita. Di lui si dice che peccò di oltracotanza, voleva la conoscenza. Forse il mito di Ulisse è una versione parallela del racconto sulla preferenza accordata da Adamo ed Eva all’albero della conoscenza del bene e del male piuttosto che all’albero della vita.

Come resistere alla tentazione del tutto voler sapere, conoscere, dominare e controllare, pur sapendo di avere a disposizione mezzi assai limitati?
Il metodo del camminare è più simile ad una danza liturgica[1]: approssimarsi al principio vivente ed eterno con curiosità e timore. Come Mosè si avvicina al roveto ardente, avanzando lentamente e girando attorno a quel misterioso cespuglio di rovi che arde luminoso senza consumarsi: “per rendersi conto, per capire perché”[2].

A pensarci bene è lo stesso cammino di Melchiorre, Baldassare e Gasparre, trio bizzarro, che si mette in cammino da qualche parte nell’Etiopia o nell’Eritrea e va in giro, seguendo un astro, carico di doni immaginifici per qualcuno che è così straniero da dubitare perfino che esista.
Il metodo del camminare, danza liturgica, nasce da una curiosità, da un interrogativo, da un incontro, da un’esperienza per molti versi incomunicabile.

Seguire una stella.
Ritrovarsi in una stalla, davanti ad una mangiatoia, riconoscersi vivi al cospetto della vita, animati non animali.
Non statuette, non idoli, non immagini, non vaneggiamenti, ma volto d’uomo in cui rammentarsi, riconoscersi, ritrovarsi; luce, vento che scuote, ragionevolezza, amore; ritornando a casa per una strada che non può più essere la stessa di prima.
Metodo del camminare, metodo dinamico, metodo non dogmatico: non c’è arresto immagine, quasi moderno selfie, per scoprire il cielo e sentire la terra a piedi scalzi.

Buon Anno!

 

[1] Dal greco antico: servizio pubblico, (cfr. http://www.etimo.it/?term=liturgia

[2] “Pensò allora di avvicinarsi per rendersi conto meglio di quel fatto straordinario; egli voleva capire perché il cespuglio non veniva consumato dal fuoco”. Esodo 3, 3.