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Elezioni

| Enzo O. Verzeletti - 17/11/2017


Si batte la campagna e la lingua torna a battere dove il dente duole:...

“Me ne dolgo”[1], ovvero “Nei sondaggi sono salito”[2], D’Annunzio, più elegantemente avrebbe detto: “La mia gente non ha paura di nulla, nemmeno delle parole”. Qualcun altro, più brutalmente: “Me ne frego!”.
Il fatto è che sull’onda della campagna elettorale si vota, in assenza di una possibilità di valutazione esterna, obiettiva e legittima, dell’operato dei partiti e dei loro rappresentanti.
Il fine (essere eletti?) rimane sempre quello che conta. Machiavelli scriveva: "Mostrare quante paci, quante promesse siano state fatte irrite e vane per la infedeltà de’ Principi; e a quello che ha saputo meglio usare la volpe, è meglio successo. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore; e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare.”[3]

Campagna elettorale: battuta sul territorio, battuta di caccia al voto, momento magico, mediatico e violento del respiro democratico.
È il tempo degli oracoli, della “divinazione”, delle profezie, degli auspici, che indicano la “terra promessa” del buon governo. È il tempo anche degli uomini “ispirati” che promettono per domani larghe arterie di benessere, larghissime, grandi tanto, almeno quanto il loro cuore.

Ma è anche il tempo dei lupi, della rivalità, del discredito, della calunnia che lacera come un machete non la reputazione dei candidati - si badi bene - ma la fiducia dell’elettore.
A volerci credere, bisognerebbe ammettere un paradosso: lo strumento del gioco al massacro giustifica il fine della costruzione del migliore dei mondi: gli uomini sono degli specialisti del paradosso, che, come valore aggiunto, catarticamente, permette nelle nostre società “pacificate”, di vuotare il sacco dei rancori.
Vere e proprie guerre civili fredde tra nuovi circensi, in mancanza di pane (degli altri). Tensioni concentrate che rivelano, a voler guardare spassionatamente, la natura profonda degli uomini e i loro ideali. Anche quando l’intrigo è apparentemente assente, si palesano usi e costumi, etica sottesa, collusioni di carrierismo, speculazioni, giochi di …gruppo.

Questa rappresentazione (colpevolmente cosciente? Frutto d’impreparazione? Mi auguro di no, ma temo di sì) ha il vero fine di trasformare un valore assoluto, conquistato a dura fatica, come il voto, in una trappola formalista, che calma la sete di giustizia delle masse col risultato di mantenere meglio le ineguaglianze. Si veda in proposito il nuovo rapporto Oxfam[4]

La campagna elettorale carnascialesca ha anche la caratteristica di sfruttare i sentimenti superstiziosi (la religione degli atei praticanti) con l’obiettivo di mantenere meglio il controllo.
L’esito: un teatrino, neanche d’avanguardia, di legislature che si succedono rapidamente come in una grande telenovela dal copione fisso, con ruoli sempre predeterminati. Non cambiano più neanche gli attori.
Ancora una volta questa campagna elettorale sarà una “pezzo” di teatro con un protagonista principale, la politica, che mette in scena la sua stessa impossibilità a fronteggiare la questione principale?

Le ricette a base di tagli e privatizzazioni aumentano il capitale di chi ha capacità d’investimento, mentre diminuiscono il patrimonio comune. Allo stesso tempo non sembra che il presunto vantaggio di “spalmare i costi” si sia trasformato in maggiore disponibilità di posti di lavoro. Molto si è privatizzato negli ultimi decenni, ma i tassi di disoccupazione rimangono elevati.
In campagna elettorale tutti sono pronti ad indicare l’isola del tesoro alla fiera delle promesse. Ma dopo, mi domando, si tornerà ancora ad accusare i predecessori delle casse vuote e ad invocare i margini strettissimi di manovra, i poteri forti, i vincoli della UE?
Si ricomincerà come per incantesimo maligno, a chiedere nuovamente sacrifici a chi sopravvive appena decorosamente, o francamente a stento?
In altri termini: si continuerà a ricompensare la ricchezza, piuttosto che il lavoro, trovando sempre cause esterne ai fallimenti di presunte sempre “giuste” strategie di governo?
Oppure si può diventare capaci di dire che poco o nulla si è fatto negli ultimi trenta anni perché il timone dello Stato non fosse mantenuto da piloti automatici transnazionali, tecnologici, scientifici, finanziari, lobbisti e ideologici?
È possibile che la politica accetti di riconoscere che i “valorosi capitani coraggiosi” – veri lupi di mare – sono stati solo marionette impegnate a convincere “il popolo” che era stato e sarebbe stato sempre ben rappresentato e ancora meglio governato?
L’impatto spettacolare degli eventi politici – anche quello - obbedisce alla necessità di nascondere i macchinari dei piloti.
In questo modo le campagne elettorali sono vere campagne di auto-destituzione e la politica si auto-declassa a lavoro fittizio, al servizio di una Repubblica anch’essa fittizia, chiaramente esclusiva, ufficialmente “sicura” solo grazie ad uno spiegamento di forze di polizia a pieno impiego, visibili ormai ad ogni angolo di strada.

L'incertezza e l’estrema fragilità politica sono ormai chiare per chi solo un poco si fermi a pensare. La roccaforte della democrazia si costruisce dal basso e la sua architettura statica rimane esposta a tutti i venti.
Oggi il "basso" non è più uno strato omogeneo, come quando la "classe operaia" chiaramente identificata aveva organizzazioni rappresentative, politiche e sindacali.

Il passaggio al plurale delle "classi popolari", si traduce in una coscienza di classe esplosa, che lotta per opporsi non solo ai potenti, "quelli di sopra", ma anche "a quelli di sotto", ancora più poveri, ma visti come assistiti immeritevoli.
Che sia ancora necessario riabilitare la critica dello sfruttamento e del capitalismo e della concentrazione della ricchezza[5], che sono alla base di tutte queste divisioni?
Dalla classe media impoverita, ai camerieri degli hotel, ai giovani dei fast food, ai lavoratori privi di documenti, sorge la domanda, di come federare e organizzare una “resistenza” per il benessere di ciascuno. E di come si possa veramente rappresentare politicamente una simile pluralità di condizioni.
Le classi sociali sono costruzioni politiche inevitabili, sembra.
Allora sarà possibile un’alleanza, dalle classi più povere a quelle medie, capace di agire, intelligentemente coesa, per riportare la ricchezza nelle tasche di chi lavora, piuttosto che nelle tasche di chi specula?
Fascino irresistibile delle battaglie perse? Utopia? Forse. A me sembra l'unica per la quale, oggi, in politica, valga la pena d'impegnarsi a combattere.

 

[1]https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lombardia-fontana-con-troppi-migranti-razza-bianca-a-rischio

[2] http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/fontana_frase_su_razza_bianca_ha_portato_fama_e_consensi-3499676.html

[3] https://it.wikibooks.org/wiki/Il_Principe/XVIII

[4] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-politica-giusta

[5] https://ilmanifesto.it/la-grande-diseguaglianza-della-societa-servile/