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Regimi alimentari

| Enzo O. Verzeletti


Andiamo a cena fuori?

Come si riconosce qui chi ha molti soldi in tasca da chi ne ha pochi? Semplice!
Chi ne ha pochi sceglie la promozione più allettante, precipitandosi sull’occasione golosa, incapace di resistere alla formidabile attrazione di zuccheri e grassi.
Chi ne ha molti, invece, si organizza saggiamente per accedere al tavolo libero in uno dei prestigiosi 3 stelle recensiti da Michelin… o dal Gambero rosso, dai Tre Gamberi, dalle Tre bottiglie, dalle Tre cocotte, dai Tre boccali, dai Tre mappamondi... lì assaporerà portate di cibi prelibati, anche inconsueti o francamente dimenticati, trasformati da mani sapienti in opere d’arte culinaria. E centellinerà nettare degli dei.

Detta così la faccenda sembra bieca, lo ammetto. Ho costruito delle caricature, ma la lettura delle opinioni, delle promozioni, delle pubblicità, di eventi legati al nostro rapporto con il cibo, non evidenzia forse la presunta esistenza di target così caricaturali?
I cosiddetti "tumulti" di Nutella nell'Intermarché[1] e la folla pronta all’assalto del Tiramisù dalla lunghezza da Guinness dei primati testimoniano di uno sguardo piuttosto accondiscendente nei confronti della dieta popolare. Prova ne sia che a proposito della querelle sulla ricetta originale del tiramisù si può concludere dicendo che “Questa è l'ennesima polemica inutile, che fa male al territorio e al dolce in sé”[2].
Viceversa, l’apertura recentissima dei “Cinque Piani stellati”[3], bistrot-cafè e ristorante deluxe, le innumerevoli guide ai migliori luoghi della gastronomia e i sempre più pervasivi show dei vari Master Chef e simili, dalla Cucina con Ramsey alle Cucine esplosive, dalle Cucine da incubo fino a Quel che passa il convento, simboleggiano la riappropriazione della gastronomia da parte dei circoli di tendenza e il desiderio mai sopito di sedersi a tavola, calda o fredda, familiare o di circostanza, capace di alimentare e nutrire e non solo d’imbrogliare lo stomaco.

Il cibo ad ogni modo è un elemento di differenziazione sociale: cosa non nuova; lo testimoniano anche le tipologie di mercato: c’è l’iper-mercato, il mercato semplice, il supermercato, il discount e il super-discount. Sarà correlato, mi dico, al volume del portafoglio.
Il modo in cui lo usiamo ora – il portafoglio – ci situa, c’inserisce individualmente nella scala sociale, dice della società in cui viviamo.
Così come dice molto, parlando forse di più, il numero di persone che ricorrono ai pacchi del Banco Alimentare o ai pasti della Caritas o alle mense per i poveri.
Dice qualcosa anche la possibilità d’accesso ad una gamma allargata di prodotti fuori stagione, l’estensione di una gamma low-cost della ristorazione rapida (fast food) e la tendenza generale all’allineamento delle norme di consumo delle società occidentali.

Poco stupisce che oggigiorno, le esigenze del marketing suggeriscano al marchio di comunicare meno sul prodotto e più sui "valori".
Gli esperti di pubblicità chiamano questa strategia "potere d'evocazione": si offre al consumatore un valore aggiunto di natura emozionale. Oltre al semplice consumo, il prodotto, dotato di potere d’evocazione, acquista un significato all’interno dell’universo immaginario del compratore.
Un impasto disidratato in polvere per torta vende anche la cordialità madre-figlia, la pasta fa “casa”; l’impatto dell’immagine pubblicitaria può arrivare a togliere addirittura “la parola” per lasciar parlare la pasta in tavola… o,  allargando il discorso, a restituire le capacità a chi evidentemente le ha perse o ne ha poche: il deodorante vende anche un'irresistibile virilità, le creme per mani e corpo, morbida e vellutata tenerezza per tutta la famiglia, gli shampoo alle erbe o agli estratti tropicali, brillantezza a chiome adolescenziali, che, è noto a tutti, non sono mai sufficientemente splendenti; e oli essenziali e incensi profumati vendono fascino ad ambienti domestici ormai svuotati d’intimità.
In sintesi, la qualità del prodotto è meno importante del modo in cui questi prodotti vengono presentati.
Leggi, norme, linee guida, principii di precauzione, etichettatura, vincoli di salute e tutto l'apparato di monitoraggio e sanzione, istituito su richiesta dei giganti dell'agroalimentare sembra avere la precisa vocazione di sradicare il ricordo del gusto degli alimenti.
E’ questo il tormento dell’agricoltura globale: sdoganare un universo di sapori di laboratorio, come già si è fatto nel business dell’alimentazione per cani, gatti e animali domestici; sostituire un pazzo nuovo mondo sognato da aziende dell’Agro business al vecchio. Perché la novità attrae gli uomini, che sono animali curiosi e fantasiosi e si annoiano facilmente nella meccanica ripetitività del vecchio.
I biotecnologi diffidano dei gustosi prodotti agricoli. Questi non hanno bisogno di apparire spettacolarmente significativi per essere assaporati: l’artigianato dev’essere abolito dall’industriale.
Le multinazionali sanno che sui territori del vino, del latte o della carne la guerra del gusto è guidata per la prima volta da "manipolatori di simboli": avvocati lobbisti, negoziatori di contratti, persone della stampa.
E la semantica fa il resto, come sempre: l’“amica” si è trasformata in life coach, il commesso è un brand ambassador e il pasticcere un cake designer. Mentre i cuochi televisivi hanno cambiato mestiere, essendo diventati influencer.

Che abbiano imparato da Chesterton? "Non bere mai perché ne hai bisogno, perché sarebbe come bere in modo razionale, è la via più sicura per la morte e l'inferno, bevi al contrario perché non ne hai bisogno perché è irrazionale l'antica salute del mondo."
E soprattutto, aggiungo io, dimentica che qualcuno ha ancora bisogno di pane per mangiare. E acqua per bere. E, forse, talora, ha del vino in più di te…perché “non di solo pane vive l’uomo”.

Allora queste potrebbero essere utili domande da porsi, se vogliamo inscrivere il senso della quaresima nel nostro vivere quotidiano:
Siamo ricchi di cosa? Solo di denaro? Siamo poveri di cosa? Solo di denaro? Facciamo il digiuno, se lo facciamo: perché? L’ “astinenza da” sarebbe forse più sensata?
Provare a “saltare” l’immediata tentazione di saziare il bisogno di mangiare, procrastinandolo al prossimo pasto, se le condizioni di salute ce lo permettono, ci aiuterebbe a capire qualcosa in più?
Forse vedremmo improvvisamente come siamo tenuti sotto scacco o presi alla gola da ciò che non è fame di cibo, ma potere di un immaginario che viene “da fuori”, standardizza e obbliga a comportamenti che colmano vuoti di altro genere. Questo è il potere che lasciamo esercitare ad altri. Quando riguarda il cibo è il più perfido, perché attecchisce su uno degli istinti più forti dell’uomo, come disgraziatamente sa chi soffre o ha sofferto veramente la fame.

 

[1] http://www.leparisien.fr/economie/le-patron-france-de-nutella-choque-par-la-promotion-choc-d-intermarche-07-02-2018-7546041.php

[2]http://www.repubblica.it/sapori/2018/02/12/news/tiramisu_la_polemica_continua_con_la_panna_il_record_non_vale_-188708316/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T1

[3]http://www.repubblica.it/sapori/2018/02/20/news/apre_il_nuovo_cracco_in_galleria_a_milano-189315612/?ref=RHPPBT-VP-I0-C4-P12-S1.4-T1