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Tempi di propaganda

| Enzo O. Verzeletti


Tempi di propaganda: tempi fecondi di tecnici, specialisti e contabili.
Tempi di propaganda: tempi aridi di poesia, di arte e di profezia.

Poeta, artista o profeta: carico di rabbia o di tenerezza, il suo sguardo è spesso più penetrante di quello dell’esperto.
Questi, profeta delle scienze matematiche, credendo fermamente nella propria competenza, definita da rigorosi limiti disciplinari, esamina con attenzione dati, tabelle, grafici, funzioni, correlazioni prima di tirare le conclusioni e dire per orientare, formulando previsioni.
Successivamente scriverà resoconti, che dimostrino l’avvedutezza e la ragionevolezza del procedimento; l’accumulo di dati concreti, "oggettivi" e indiscutibili testimonierà la bontà del paradigma scelto.
E se i fatti dovessero dargli torto? La causa sarà l’imprevisto probabilistico, il granello di sabbia, sabotatore della previsione giudiziosa?

D’altra parte nessuno si sognerà di chiedere all'esperto visioni più ampie che esulino dalle sue competenze; chi potrebbe chiedere al tecnico di discernere i piccoli segnali precursori, i minimi dettagli, battiti d’ali di farfalla, che le statistiche sanno ignorare in favore di una rappresentazione realistica, razionale e convincente del reale?
Nessuno si aspetta dall’esperto il gusto per l’intuizione e l’immaginazione, che consentirebbe di arginare, se non eliminare, l'evento “straniero” e sabotatore.
Al governo, alla banca, all'industria, alla borsa, e anche alla chiesa e alla società, l'esperto deve questo: la ragionevolezza. Eventi impalpabili, matematicamente insignificanti, sono di necessità fuori gioco; il loro ruolo confinato nello spazio dell’eccezione. Come quantizzare del resto l’influsso della sete di felicità, della frustrazione accumulata, della speranza, della passione, della dignità disprezzata, dell’ansia, di un sogno impensabile, o semplicemente di quell'amicizia che a volte ispira gesti spericolati, così perfettamente irragionevoli, di cui nessuno dovrebbe mai pentirsi?

L'irragionevolezza rimane rifiutata e da curare come follia; sul suo versante positivo, la creatività, riguarda il talento, il genio e appartiene in proprio all'artista.
E al profeta.

La “missione” di artisti, profeti e religiosi, se non è asservita al conformismo per ragioni di dipendenza, non è mai sovrapponibile e concorde con le ragioni economiche.
Possono, per esempio, commercialisti, faccendieri, liquidatori essere considerati consiglieri qualificati in questioni di altro ordine rispetto alle loro competenze? Può, in particolare, l’esperto di economia avere la prima parola in realtà a carattere “religioso”, in merito ad una “missione spirituale” e in merito ad una “visione dell’uomo”?
Non bisognerebbe commettere l’errore di scambiare la luna con il dito che la indica, la missione con chi la compie, il fine con il mezzo, il bene comune con l’interesse particolare, la missione con chi la compie. Con questo voglio dire che esiste il dito ed esiste la luna: entrambi hanno la loro specifica natura, che non risiede in chi guarda. Colui che guarda, invece, per vedere bene, è obbligato ad esercitare un continuo discernimento e tutta la sua intelligenza: il dito che indica la luna può essere veritiero o menzognero, mentre la luna è la luna.
Se il progetto è la missione, la luna è il messaggio evangelico, se il progetto è la politica, la luna è il bene comune, se il progetto è il lavoro, la luna è la persona: dove c’è desiderio di possesso oltre il necessario e scambio di merce contro denaro, quel luogo non è campo missionario, non è politica, non è lavoro e nessuno di questi è tempio, perché non è più spazio sacro.
Perché ogni luogo dove vivono persone in relazione è spazio sacro.

Come fare quindi a fare missione in un mondo dove tutti ripetono che non c’è alternativa possibile alla legge del profitto, anche se questa mentre arricchisce qualcuno, immiserisce i più?
Che si debba provare ad uscire dai binari della mera contabilità?
Uscire dai binari non vuol dire deragliare: può voler dire azionare gli scambi per cambiare percorso, che tradotto in termini meno metaforici vuol dire cambiare paradigma, esponendosi a raggiungere mete non programmate, non geolocalizzate in anticipo.

La fede profondamente vissuta non teme il rischio; esporsi al Signore (e alla Sua Parola) significa essere trasformati e forgiati in uomini nuovi, in donne nuove che preparano sentieri migliori per domani.
La responsabilità individuale, tesa a conservare abitudini già dimostratesi fallimentari, anche se ammantata e protetta dal crisma dell’autorità, dell’esperto o del politico, sarà sempre cieca nei confronti di se stessa e di chi verrà dopo.

Rischiosa è l’entrata di Gesù nel tempio e la cacciata di tutti i mercanti, ma il tempio è sacro e non è in vendita.
Rischioso è anche immaginare che il Signore della vita e della grazia stia indifferente di fronte alle dinamiche malate dei nostri rapporti di potere, alle prevaricazioni piccole e grandi, e sia sufficiente gridare «Signore, Signore» per continuare indisturbati ad agire «contro» l’evangelo; esiste il rischio di sentirsi rispondere «Non vi conosco», pur brandendo rosari e vangeli, sventolati per qualche voto in più.

“Non vi conosco” è Parola decisa, non dura. È Parola chiara, che continua a salvare, aiutando a prendere coscienza che la sacralità della vita umana, in tutte le sue determinazioni, ha bisogno di essere in ogni momento risvegliata, e che il Signore della vita e della grazia abbraccia tutta l’esistenza, comprese le nostre vie e le nostre opere.