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In vista di Gerico

| Enzo O. Verzeletti


Il 22 aprile (IV domenica del Tempo pasquale) la Chiesa celebra la 55° Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.

Il mondo è pieno di cose buone, ma sono pochi quelli che le vedono.
L’umanità è circondata dalla luce, ma pochi aprono gli occhi.
La terra produce cibo per tutti, ma pochi riempiono granai e troppi hanno il frigorifero vuoto.
Sarebbe appunto un po’ come dire: “La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi.”

Troppo spesso interpretiamo questo passaggio come un invito a pregare per le “vocazioni sacerdotali e religiose”, quasi fosse un passaggio dedicato esclusivamente a chi considera un’opzione possibile prendere i voti, quindi un passaggio riservato a pochi.
È forse per questo che qualcuno lo percepisce come un tranello? Come qualcosa da cui allontanarsi, malgrado la presenza incontrovertibile di quell’opzione nel campo della coscienza?
Chi ha paura dell’eventuale tranello, nascosto dentro una spinta, anche confusa, a livello personale in una direzione precisa?
Evidentemente solo chi si sente in ogni caso chiamato in causa.
Cosa genera questa paura? La preoccupazione di rimanere intrappolati?
Eppure, lo dico, in tutta franchezza, la percezione del supposto tranello e la paura conseguente sono solo l’inizio di una bellissima sequenza di parole tutta da scoprire, proprio quelle: “La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi.”

Gesù affidava così la sua missione, chiedendo associati, partner, amici per un “mestiere operaio”. Per quanto si possa faticare a crederlo continua a farlo in mille modi, attraverso mille segnali e molte persone, perfino inconsapevoli di avere quel compito.
Cos’è poi questo “mestiere operaio”?
Gesù lo descrive ai suoi discepoli con sei tipi di azione: predicare, guarire, risuscitare, sanare, liberare, donare (cfr. Mt 10, 7-8).
Sul serio? Bene. Ancora più impossibile da credere! Predicare lo capisco, guarire pure, magari faccio anche il medico o l’infermiere o lo psicologo, ma via! Risuscitare? Sanare? Liberare dai demoni? Donare va già un po’ meglio, perlomeno l’eventuale ostacolo ha a che fare con qualcosa che ho l’impressione di poter gestire.

Il punto centrale della questione risiede nel fatto che si tratta di una parola rivolta a tutti, continuamente, non solo a pochi, non solo ai religiosi, ma a tutti.

C’è chi la sente, chi no, chi la considera un’allucinazione, chi le dà credito, chi la considera un ideale utopico… ma poi la realtà è tutta un’altra.
L’autentica misura di verità di questa sequenza di parole: “la messe è molta, ma gli operai sono pochi” è davanti agli occhi di tutti.
Non è sufficientemente chiaro che tutto il mondo ha bisogno di seminatori di pace, di compassione, di empatia, di pietà, di misericordia, di mani che sappiano accarezzare, sorreggere, sostenere, trasmettere forza, incoraggiare? Di occhi capaci di vedere, intravedere, immaginare, sperare? Di orecchie capaci di ascoltare, sentire, percepire? Di bocche che sappiano aprirsi, rinunciando all’ostilità, per illustrare ingiustizie, evitare danni al bene comune, sostenere i portatori di pace e di speranza? Di azioni, fin dove possibile concrete, di supporto alla vita in questo mondo?

La messe è abbondante è vero; l’invito è a prendersi cura della causa di Dio e anche della causa della casa dell’uomo. Entrare in una casa “degna” significa invocare la pace su di essa, facendosene portatori. Se questo comportamento non è gradito o accettato rimane solo da andarsene, scuotendo la polvere dai piedi, per non rendersi complici di tutto ciò che toglie la pace e rimanere invischiati nei tragici meccanismi della contrapposizione violenta e delle beghe per il dominio dell’uomo sull’uomo.
È vero che la messe è abbondante, ma solo uno sguardo positivo e appassionato è capace di vederlo e di dirlo.
Non è questione di pessimismo dire gli “operai sono pochi”.
Immaginate di poter cogliere con un solo sguardo un territorio immenso, popolato da tantissime persone, qual è il nostro mondo, e cercate di mettere a fuoco coloro che si occupano veramente della causa della casa dell’uomo, della causa di Dio, della causa della terra e del cielo; dire che “sono pochi” è dire che c’è spazio per tutti, che certo non ci si pesterà i piedi gli uni con gli altri nel campo del creato, cercando, tentando, provando a portare pace, a guarire ferite, a sanare lacerazioni, a liberare dalla paura, a donare ciò che si possiede perché ci è stato donato senza chiedere in cambio nulla; con ciò restituendo all’altro la possibilità di riprendersi la vita.

Forse dovremmo avere il coraggio di vedere e rimanere osservabili in tutta la confusione e l’assurdo, la vulnerabilità e i limiti delle nostre vite e delle nostre comunità disordinate, indefinite, inequivocabilmente uguali e confuse.
Come?
Riscoprendo una storia condivisa e comune. Parte del problema diventerebbe così parte della soluzione: peccatori e santi, dentro la casa dell’uomo, insieme, percependo la necessità di essere fedeli alla terra e al cielo.
Quella stessa fedeltà che Mosè ha colto mentre cantava le lodi al Signore: (cfr. Dt 32).
Guardiamo avanti, vedendo i contorni delle promesse di Dio diventare chiari e tangibili, e guardiamo indietro, comprendendo gli alti e bassi di un lungo viaggio non lineare, ma che in ogni caso ha portato un popolo a vivere le promesse di Dio e a ritrovarsi davanti alla terra promessa.

Oggi, ora, come sempre, è ovunque pieno di storia e di un futuro atteso: solo così possiamo comprendere da credenti ogni giorno la nostra vita di uomini.
Come Mosè guardando dal monte Nebo intravede i contorni di Gerico, così il credente che percepisce la propria vocazione scorge la fedeltà di Dio e inizia a intravere i contorni della terra promessa: questo filo rosso ha già portato la parola ovunque.
Dio è fedele, non per quello che noi siamo e per quello che noi facciamo, ma per quello che Dio è e per quello che Dio compie in noi.


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