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1887.12.30.Dissertazione storica. Leone XIII e Leone X grandi Mecenati delle lettere e delle arti

Elaborato su Leone X, dedicato a Leone XIII.
"Pubblichiamo la vera Introduzione alla Dissertazione che il giovane «Guido Maria Conforti, Studente del IV Corso di Teologia» del Seminario di Parma, premise al suo lavoro inserito, manoscritto, nel 3° Volume dei Componimenti letterari-storici-scientifici-filosofici offerti nel 1887 al Papa Leone XIII in occasione del Giubileo Sacerdotale.
Il 9 luglio 1892 Conforti, già Vicerettore e Professore di Letteratura, pressato - nonostante forti impegni - di tenere Egli la Dissertazione per l’Accademia di chiusura dell’anno scolastico, decise di far pubblico quanto aveva scritto 5 anni prima per Leone XIII, ma rielaborando l'Introduzione, che fu poi mantenuta integra quando nel 1896, dopo conseguita la Laurea in Teologia a Roma e nominato da Mons. Magani suo Vicario Generale, consentì che la Dissertazione storica fosse stampata (con un errore di data: 11 luglio 1891, invece del 9 luglio 1892).
La seconda «Introduzione», rifatta nel 1892, viene riportata a suo tempo nella Parte VI, Capitolo 24°, Nota 318. Invece alcune lievi modifiche apportate da Conforti al testo della Dissertazione stessa nel 1892, le indichiamo in Note raggruppate in fondo al testo.
Circa il Titolo: come è detto al Capitolo XIX, Nota n. 74, il Vescovo Mons. Miotti o il Redattore degli Indirizzi (da rilegare in volume e spedire a Roma), letta l’Introduzione e la chiusura della Dissertazione, credette bene di modificare il Titolo messo da Conforti, abbinando nella lode anche il festeggiato Sommo Pontefice, e così corresse: «Leone XIII e Leone X grandi Mecenati nelle lettere e nelle arti».
Forse è un’amplificazione un pò forzata, tanto più che il Seminarista Conforti scriveva nell’Autunno del 1887 quando...non poteva sapere quello che — per le lettere e le arti — avrebbe continuato ad operare Leone XIII anche negli altri 15 anni di Pontificato (1903).
Comunque quando nel 1896 Conforti preparò la Dissertazione per le stampe, pur mantenendo le ampie lodi e le attribuzioni a Leone XIII che si leggono nella Chiusura (nella nuova Introduzione non lo nomina nemmeno, limitandosi a parlare di «setta» e di «menzogna e calunnia» contro la Chiesa), ritornò al solo Papa Medici del Rinascimento, e mise decisamente come titolo: Leone X° e il suo secolo."

Teodori, FCT 6°, 498; trascrizione alle pp. 498 - 510.

 

 

  • ID
    0017
  • Cartella
  • Data
    29 Dicembre 1887
  • Editore
    CDSR
  • Luogo
    Parma
  • Collocazione
    CSCS
  • Pagine
    19
  • Viste
    511 volte

CDSR
Centro Documentazione Saveriani - Roma

Transcrizione

Lotte e vittorie formano il tessuto della storia della Chiesa. Omaggio a Leone Xlll
Egli è pur meraviglioso per un cattolico lo spettacolo che a' suoi occhi presenta la Chiesa, mentre diciannove secoli di lotte e di vittorie formano il tessuto della sua storia. Il suo stato presente è uno stato di prova, ma non havvi per essa pericolo di soccombere: se le sono annunziati dei combattimenti, ode al tempo stesso la promessa della vittoria, ed il passato l'assicura dell'avvenire. Che anzi fra l'infuriar delle tempeste, fra le persecuzioni più sanguinose delle nemiche falangi con viemaggiore rapidità e sicurezza s'innalza e vince, trionfa ed impera. Sì, anche oggigiorno è aspramente guerreggiata da nemici poderosi per numero, e per potenza formidabili, ed insidie, invettive, calunnie, spogliazioni tutto adoperano a suo danno e rovina. Ma oh! folli consigli, inutili sforzi! La serie delle meraviglie e de' trionfi in pro della Chiesa non si è per anco chiusa, né si è accorciato il braccio dell'Onnipotente.
Egli è appunto di questi giorni, che più fragoroso si spende per le tende d'Israello il suono dell'esultanza, in quella che nuova luce appare all'Orizzonte foriera di calma e di serenità. I popoli come onda che viene incalzata dall'onda, traggono in santo pellegrinaggio alla Città eterna, e per modi arcanamente meravigliosi si compie il gran plebiscito della Cristianità. L'anima del Cattolicismo tutta si trasporta verso del Vaticano, e dal Vaticano si slancia al Cielo, e v'intuona un inno di ammirazione, di gratitudine, di amore al Signore, che ne ha concesso di assistere ad un trionfo, che segnerà una pagina non peritura nei fasti della storia.
Leone XIII, ecco il nome che ovunque si ripete con impeto di santo affetto; ecco il nome in cui tutti ritrovano speranza, consolazione, conforto. Quando mai s'è veduto spettacolo così toccante e sublime d'irrefrenabile entusiasmo, di effusa tenerezza per la Chiesa e pel magnanimo suo Capo? Ei si trova bensì rinchiuso da 10 anni come prigioniero, ma i popoli dall'uno all'altro emisfero traggono h, a baciar le sue catene, e ad attingervi la vera libertà e grandezza d'animo. Egli è tuttodì deriso, fatto segno di codardi oltraggi, spogliato del temporale dominio, ma in poco tempo ha saputo riedificarlo moralmente per modo, che oggi i più grandi pensatori ne invocano la effettiva ristorazione, ma le più superbe altezze s'inchinano al suo piede, ed ei s'asside arbitro invocato fra le nazioni dissidenti, aprendosi trionfalmente la via a quel supremo arbitrato che è desiderio di tutti i buoni, e sarà il coronamento della vera civiltà. A che approdano le fragorose intimidazioni e le vili rappresaglie de' tristi, se i popoli con sempre crescente desiderio cercano tutte le occasioni per attestargli, che con tutto l'animo vogliono partecipare ai grandi dolori di cui è vittima per la verità e per la giustizia?
Ultimo tra i figli di Santa Chiesa, tenerissimo delle sue glorie, faccio eco al plauso dell'orbe cattolico, ed in attestato di sincera esultanza e di profondissimo ossequio depongo a' piedi del Grande che il mondo onora queste umili pagine destinate a ricordare i pregi insigni di una delle più fulgide gemme del Sommo Pontificato. Leone X, gran Mecenate delle lettere e delle arti, le cui gesta sono sì degnamente ricopiate dal Regnante Pontefice: sarà il tema del breve mio dire.
Mi perdoni il Magnanimo, che là siede in Vaticano, se la disadorna mia parola non adegua la grandezza dell'argomento, e la solennità della circostanza.
Il fermento culturale e artistico del secolo XVI in Italia e a Roma
Ma innanzi tutto un rapido sguardo al secolo XVI. All'udir di questo nome quali grandi e sublimi idee si risvegliano nell'animo di ognuno, che non sia affatto insensibile alle glorie più invidiate della patria nostra! Appena incominciò a mostrarsi di lontano, si ridestarono i caldi ingegni, l'italico genio alzò gli occhi, li girò intorno riaccesi dalla speranza, e le lettere leggiadre e le arti gentili si confortarono tutte, e si congratularono insieme. Un certo accorto e bennato amore s'insinua per ogni liberale studio, di vital forza informandolo dal di dentro, cospargendolo al di fuori di soavissima venustà. Non so qual bollor febbrile, qual tendenza al bello ed al buono si risveglia nelle menti, disponendo gli animi alle creazioni dell'ingegno più vaghe e peregrine. I principi ripongono la loro felicità nel coltivar le lettere, e la lor gloria nel proteggerle convertendo in accademie le corti, ove i figli delle Muse cantano in tutte le lingue, ricevendone ad usura onori, ricchezze, favori. Non havvi città d'Italia che non accolga entro le sue mura illustri adunanze di dottissimi uomini, ed i privati gareggiano co' sovrani nel raccogliere con lusso e munificenza regale ricchissimi musei, copiosissime biblioteche. La poesia sembra raggiungere il più alto segno di gloria a cui potesse aspirare; la storia compare finalmente adorna de' veri suoi pregi, l'antichità e l'erudizione escono dallo squallore e dalle tenebre, e le scienze ancora più speculative ed astratte' ci additano i primi maestri e padri. Che dir poi delle arti belle, che toccarono l'ultima meta' del loro perfezionamento, dei monumenti sontuosi che ogni dì si innalzano, quasi per incanto, ad ornare questa nostra classica terra? Questo è lo spettacolo imponente che ne presenta l'età moderna al primo suo apparire.

La felice elevazione alla Cattedra di Pietro del Card. Giovanni de' Medici e l'accolta dei dotti
Ma la scintilla che suscitò questo universale risveglio, partì dalla Città Eterna: di là incominciava il faustissimo preludio di questa letteraria crociata, e là inauguravasi questa salutare congiura del risorgimento contro l'ignoranza. Leone X, posto a reggere le sorti del Cattolico mondo, d'un guardo misurò i bisogni dell'età sua; conobbe di dover assecondare e favorire questo intellettuale progresso, ed il fece con tale munificenza e generosità, da lasciarsi indietro quanti mai furono splendidi Mecenati. Per lui il nome Italiano sarà rispettato di mezzo le nazioni, per lui l'Italia e Roma varran nuovamente a significare l'apice insormontabile della vera civiltà e grandezza.
L'assunzione di Giovanni Demedici ridestò in breve tutte le nobili ambizioni artistiche e letterarie, e chiunque od era, o lusingavasi di essere valoroso poeta, eloquente oratore, scrittor colto e leggiadro traeva a Roma, per trovarvi amorevole accoglimento e liberali ricompense. L'incomparabile cantor del Furioso saluta con entusiasmo l'aurora del nuovo regno, vagheggiando dovizie ed allori per la sua Musa: né le sue speranze van deluse, ché egli riceve dal novello Pontefice quelle dimostrazioni di stima e di benevolenza, che invano avrebbe arrese dagli altri. Erasmo, che aveva da poco abbandonato le Nordiche contrade, dimentica ben presto Friburgo, Basilea e Londra ai brillanti convegni Vaticani, ove si disputa gravemente, alla maniera di Platone, sovra i più alti argomenti della filosofia e della morale. Il Bembo, il Bibbiena ed il Sodoleto furoni come i tre simboli della vita intellettuale, che Leone volle presso di sé, appena cinta la tiara. Rappresentava il primo, appassionato ammiratore di Cicerone, l'elemento letterario pagano, l'elemento artistico il secondo, ed il Sodoleto, l'acuto commentatore di S. Paolo, l'elemento Cristiano.
L'onor della Sacra porpora fu per lo più destinato a rimunerare il valor letterario, e di essa si videro tosto rivestiti gli uomini più insigni di quell'età fra le più gloriose, gloriosissima. Il Senato romano co' suoi padri coscritti non avea mai presentato un tutto così maestoso, come quell'eletta schiera, quel consesso di nobili e grandi ingegni, ond'era circondato il trono pontificio. Il Vaticano addivenne allora un'accademia, un museo, per ogni parte scienze poesie belle arti. Il Beroaldo, il Palladio, il Bandinelli, Fedro Inghirami, Camillo Porzio, il Navagero di continuo frequentano quella splendida corte. L'elegiaco poeta Marc'Antonio Flaminio, il Negri imitatore della Tulliana eloquenza, l'emulo di Tibullo il Molza, l'elegante Castiglione ed altri sommi, cui sarebbe troppo lungo solo annoverare, vi leggono i loro componimenti sia in prosa che in verso, e ne ricevono meritati encomii e plausi. A nessun altro, o sia Pontefice sommo o principe potentissimo, furono mai fatte tante dediche quante a Leone X. Il libro che veniva in luce sotto la protezione del Papa era sicuro di essere bene accolto dal mondo letterario. Leone lo leggeva attentamente, il meditava come teologo, come scrittore, come artista. Più d'un poeta gli andò debitore di maggior venustà ne' versi, più d'un latinista fu avvertito d'un sollecismo, ché il suo orecchio era sommamente delicato. Si possono vedere in diverse biblioteche d'Italia, molte note che egli aggiunse sui margini dei libri, officiose cancellature, felici sostituzioni di vocaboli, che fanno manifesta prova del gusto e della scienza linguistica di tanto censore. Nessuno che avesse pregio o vanto di perito in alcuna scienza od arte, fu posto in dimenticanza. Neppure l'improvvisatore Accolti! Vi aveva nelle lodi e negli incoraggiamenti dati a profusione, ma con saggio discernimento, non so qual soffio di vita per gl'ingegni, che rendevali operosi, e faceva che fruttificassero il centuplo i talenti ricevuti dal Cielo. Dagli scrittori di quell'età si ebbero a duci i sommi maestri del genio Greco e Latino: da essi si vollero prendere il linguaggio, le comparazioni, le immagini. L'intelligenza che ama di conoscere i fenomeni del pensiero, l'analisi delle operazioni della mente, non guarda che a Platone e ad Aristotile, i due grandi luminari della immaginazione e della ragione. Per Istudiare le istorie non ha che Tacito, Tito Livio, Senofonte, Tucidide: per riprodurre gli antichi prodigi della parola sulla moltitudine ricorre a Demostene ed a Cicerone. Se vuol sciogliere canti poetici deve ispirarsi a Omero ed a Virgilio; se adoperare la sferza della satira, imitare Aristofane, Plauto, Terenzio.

Leone X fa di Roma la regina delle lettere e delle arti, e del Vaticano un'Accademia
Non è quindi meraviglia, se da siffatta scuola sia uscita una schiera sì numerosa di uomini grandi nelle arti del bello, e che giungesse a creare, quasi in ogni genere, capolavori insuperabili. Leone voleva che Roma fosse nelle lettere regina del mondo come lo era nelle arti, e nulla tralasciò per trarre ad effetto sì glorioso intendimento.
La Romana università per la tristizia de' tempi era venuta in decadimento; ma ei ne ampliò il grandioso edifizio, e ne accrebbe le cattedre, chiamandovi a professarvi i più celebrati maestri, quali il Parrasio, il Botticella, il Calcondila, Varino Favorino, Scipione Fortiguerra. Così riacquistò in breve lo splendore conveniente alla sua dignità, avvantaggiando in lustro le più illustri Università d'Italia: Pavia, Milano, Bologna". In simil guisa quella di Avignone, di Lovanio, d'Ingoldstadt, di Vienna, di Francoforte, di Cracovia, come ben si rileva dai regesti inediti di Leone X, testi messi in luce, ripetono dai sapienti consigli, e dalle cure solerti del Pontefice il loro rifiorimento, ed il pristino onor riacquistato.
Per lui l'Accademia Romana, già fondata da Pomponio Leto, quindi osteggiata, e poi distrutta sotto il Pontificato di Paolo II, risorse ancor più gloriosa di prima ad accogliere il fiore de' più eletti ingegni italiani, se vogliasi prestar fede alle testimonianze del Savoja, di Fedro Inghirami, del Sodoleto, membri illustri della medesima. Per lui la Biblioteca Vaticana fu accresciuta e migliorata ed è impossibile esprimere a parole quanto egli s'adoperasse, quanti tesori profondesse, per inviare nelle più lontane provincie uomini dotti a raccorre antichi codici e preziosi manoscritti.

Il ricercatore dei tesori letterari e storici nel mondo
I commissarii ordinari partono da Roma muniti di commendatizie, incaricati di rovistare i conventi e le abbazie, le biblioteche de' principi e de' privati. Giovanni Heytmers visita l'Alemagna, la Danimarca e l'isola di Gotlandia Agostino Beazzano gli stati di Venezia. Fausto Sabeo poi, incomparabile in quest'arte, che al dire di un coetaneo sapea da lungi fiutare ove si appiattasse un'opera inedita, percorre l'Italia tutta, la Francia e la Grecia. Il manoscritto di Tacito, posseduto dall'Abbazia di Corbia, fu comprato da Leone per 500 zecchini, altri a maggior prezzo ancora. Ma non pago di tanto, ovunque fà noto, che egli sarà largo di ricompense, a quanti gli recheranno opere antiche, tuttora inedite. L'annunzio ottenne l'intento: da tutte parti venivano spediti codici diversi, che erano lautamente pagati.
In tanto amore pel bello, ed in sì grande ammirazione pei sommi maestri anche il bell'idioma d'Omero, il linguaggio dell'Olimpo doveva ricevere dai Pontefice nuovo impulso e vantare nuovi ed appassionati cultori. Invano le Università d'Italia e di Francia si contendono gl'insegnamenti del dotto Lascaris, uno de' profughi più insigni di Costantinopoli, poiché egli alle chiamate del Papa soltanto si arrende, e stabilisce sull'Esquilino un'Accademia ed una stamperia Greca, a cui Marco Musuro aggiunse fama colla sua assistenza. Così in breve si moltiplicano le opere più celebrate della Greca letteratura, fonti inesauste d'ogni più squisita bellezza ed eleganza.

Sostenitore dei dotti in ogni scibile
Ma chi potrebbe tutte annoverare le opere egregie che dal Pontefice ebbero ispirazione ed incoraggiamento? Dischiuse a' Teologi le fonti, sino allora affatto sconosciute, delle lingue orientali, a maggiore intelligenza delle sacre lettere, istituendo all'uopo cattedre in più luoghi dello stato pontificio. Commise a Teseo Ambrogio di scrivere una grammatica poliglotta a commodo degli studiosi, a Valeriano Bolzani di occuparsi della grandiosa opera intorno ai geroglifici Egiziani; a Paolo Germano Vescovo di Fossombrone di por mano alla riforma del Calendario Giuliano, che inutilmente per allora tentata, dovea poi ad esecuzione mandarsi sotto il pontificato di Gregorio XIII. Accrebbe lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, mediante lo studio della musica che egli animò, e che propagò con quell'amore innato nell'animo suo per tutte le forme della poesia.
A Leone siam debitori, se il Giovio, cui egli chiamava col nome di Tito Livio Italiano, ci ha regalato l'elegante istoria di quei tempi. A Lui pure ne dobbiamo la lode se il Vida, i cui versi non vanno lungi dalla Virgiliana eleganza, ha impegnato la sua Musa a celebrare la grandezza di nostra religione. Il Presepio di Betlemme, andava egli dicendo al favorito poeta racchiude una magnifica epopea «La Cristiade» ossia il mondo liberato dalia schiavitù del Demonio, l'umanità rientrata nella grazia celeste, la croce simbolo e strumento di civiltà. Questa idea sublime piacque al Vida, che postosi all'opera, diede in luce quel poema ammirabile al quale s'ispirarono il Tasso ed il Milton.
Anche il Sannazzaro per le medesime esortazioni abbandonò l'Elicona per cantare i misteri della fede cristiana, desideroso di far dimenticare le follie di una troppo ardente Musa giovanile, e maggiori laudi e più generali sarebbero a lui tributate, se, al dir di Erasmo, avesse trattato il suo soggetto più religiosamente. In quel numeroso corteggio di letterati, che i più degli storici ci schierano innanzi, come distinguere chi consacrò la sua lira a Dio? Essi nol dicono, e quindi più facilmente puossi avere il Vaticano in conto di un tempio gentile, anziché residenza del Vicario di Cristo. Eppure la preghiera trovò fra quegli illustri poeti più d'un fortunato interprete, come ne fanno fede gl'inni sacri del Ferri e del Flaminio.

Cultore anche degli studi teologia e delle scienze sacre
Non havvi ramo di scienza o di amena letteratura al quale questo insigne Mecenate e coll'esempio e con nobili ricompense non avesse dato forte impulso; e ben non si comprende come il Pallavicino Potesse accagionarlo d'aver affatto negletto gli studi teologici. Mi taccio degli uomini insigní da lui innalzati alla dignità della Romana Porpora, che nelle sacre discipline maggiormente si distinsero: come Tommaso de Vio immortale commentatore dell'Aquinate Lorenzo Campeggi versatissimo canonista, Egidio da Viterbo eloquente oratore, Adriano di Utrecht lume insigne di Lovanio. Mi taccio degli svariati e molteplici commenti sulla sacra Scrittura, affidati a' più celebri orientalisti, archeologi ed esegeti di quel tempo, nonché dello studio delle ecclesiastiche istorie richiamato in onore e vivamente caldeggiato. Valga per tutto, quanto è stato stabilito in proposito nell'ottava sessione del Concilio V Lateranense. Il Pontefice, la scienza che ivi ama di glorificare, che chiama la madre di tutte le scienze, cui lamenta troppo negletta, è la Teologia. Bisogna che rifiorisca, esclama, bando dunque al culto soverchio della filosofia Platonica e della Mitologia: d'ora innanzi chi vorrà consacrarsi agli altari dovrà a fondo conoscere le Scritture, i Padri, i Canoni della Chiesa. E questo ne basti, ché non è mio intendimento purgar Leone da siffatta accusa, mossagli dapprima da' Novatori, alla quale fecero eco più d'una volta con incredibile leggerezza gli stessi Cattolici.

Protezione per le arti gentili e al genio di Michelangelo
Che se in modo meraviglioso e al tutto ammirabile favorì le lettere, non è però minore, né meno degna d'ammirazione e di plauso la protezione liberale che ei concedette alle loro indivisibili compagne le arti gentili. Sarebbe malagevol impresa il solo annoverare tutti i grandi artisti che resero glorioso il Pontificato di Leone, e segnarono una pagina immortale nella storia delle arti. Michelangelo e Raffaello, sono come i duci di quella schiera insigne: gli occhi di tutti sono a lor rivolti, ed i Romani li riguardano qual cosa più che umana. Alla morte di Bramante, Leone affidò allo scultore del Mosè i lavori della Basilica Vaticana, già iniziata da Giulio II: dispone che L'opera fosse meravigliosa, e che Jeova ed il suo Cristo venissero glorificati nei due Testamenti con due padiglioni, che esprimessero in qualche modo l'immensità e l'estetica dell'eterna magione di Dio. Il Buonarroti si accinse all'opera coll'ardimento proprio del genio, e come richiedeva la grandezza dell'opera, ed in mezzo a tanti progetti, fra tanti varii pareri e dissidii d'ogni genere, ristabilì l'ordine, l'economia e la solidità del disegno primitivo. A Bramante il vanto d'avere ideato la grandiosa cupola, a Michelangelo «Che nuovo Olimpo alzò in Roma ai Celesti» la gloria d'aver reso pratico ed esecutivo un progetto, che per universale consentimento, nessun altro architetto avrebbe potuto eseguire. L'augusta Basilica Vaticana ha formato e formerà mai sempre l'ammirazione di tutti i secoli. Ad essa volge il piede il viaggiatore appena arrivato a Roma, è un punto a cui tutti convengono, è un centro d'attrazione universale, e là sotto quelle volte superbe ognuno si sente trasportato nei sereni campi del bello, rivive una vita nuova. Il genio Italiano vi si appalesa in tutta la sua sublimità, il Pontificato in tutta la sua munificenza, ed i nomi di Giulio, di Leone, del Buonarroti, del Bramante vi appariscono scolpiti in tutto il fulgore della lor gloria.
Il sentimento delle arti si diffuse allora per ogni dove, nel cuore del principe, del patrizio, del ricco mercante, che tutti, ad imitazione del Pontefice, gareggiano nel favorire arti ed artisti. Studiossi allora la dignità dei templi, la maestà delle reggie, la onorevolezza dei palazzi, lo splendor delle ville. Comparvero allora le immense loggie, gli atrii pressoché infiniti, le amplissime piazze, le porte, le castella, gli archi, onde le Italiche città son belle e Roma bellissima. Allora si diffusero qua e là nelle nostre contrade le dottissime palestre della pittura e della scultura, che diedero all'Italia quella sì immensa e sì gloriosa schiera di pittori e scultori illustrissimi. Allora Peruzzi fece il disegno della Farnesina, e tracciava col pennello quelle decorazioni architettoniche, che trassero in inganno l'occhio stesso del Tiziano. Giacomo Sansovino poneva arditamente le fondamenta di S. Giacomo sino alle acque del Tevere, mentre Antonio di S. Gallo edificava la Chiesa di S. Maria in Monserrato, e costruiva la prima cupola a volta che si fosse veduta a Roma.

I tesori di Roma antica, il genio di Raffaello e gli altri Artisti

Per la Metropoli della Cristianità il passato non è più nulla a petto de' monumenti che in suo pensiero vagheggia, a petto dei vasti concetti che rampollano nelle fervide fantasie de' suoi artisti. Leone aveva ideato di richiamare in vita ciò che egli appellava il cadavere di Roma antica: ridonare cioè alla città i suoi sacri e profani edifizii, i palazzi, il Colosseo, gli archi trionfali, le colonne, i giardini, le piazze, le strade, per modo che se Virgilio ed Orazio avessero potuto rinascere riconoscessero tosto la città di Augusto. All'abile attività di Raffaello affidò quest'opera in vero grandiosa ed ardua, e volle che tutti coloro che scoprissero rovine antiche portasserle al Sanzio sotto pena di grave multa pecuniaria. E poiché venivano pagate generosamente coi denari del Papa, ecco che tu vedi moltissimi scavare la terra per trarne tutti i nascosti tesori. Statue di divinità, busti di Imperatori, bassorilievi, urne di marmo, vasche di porfido arrivano confusamente alla piazza di S. Pietro; dimodoché sarebbesi detta un'apparizione del passato, una risurrezione del genio antico. Nel momento in cui il risorgimento, protetto dal Pontificato, ci regala ad ogni istante qualche avanzo di ciò che il Paganesimo chiamava i suoi Dei, è bello assistere allo svolgimento del pensiero tutto cristiano che un Papa guerriero come Giulio II° od un artista come Leone X°, prosegue con tanto calore al trionfo visibile della Chiesa, espresso ad un tempo dalle arti tutte di cui l'antichità ce ne appalesa i segreti.
Ma Leone non poteva arrestarsi nelle sue nobili imprese, ed appena l'Urbinate incominciava un'opera, gliene domandava un'altra, sicuro di vedere adempiuti i suoi disegni. Al portentoso suo pennello dobbiamo i meravigliosi affreschi delle sale e delle loggie Vaticane, l'incendio di Borgo Vecchio, le tappezzerie della Cappella Pontificia. L'opera nondimeno che pose il suggello alla sua gloria, e che fu come l'ultimo canto del cigno, si è la Trasfigurazione. Dessa è il capolavoro di tutte le scuole, l'ultimo termine a cui giungere possa nel dipingere l'umana potenza, il limite che nell'arte separa l'uomo dall'Angelo.
Molti altri uomini insigni illustrarono quell'età, e furono a Roma, lasciandovi belle prove di loro abilità, come Andrea del Sarto, fra Bartolomeo e l'AIbertelli. Giulio da Romano vi ritrasse col suo nobile pennello la terribile sconfitta di Massenzio, ed il trionfo della croce di Cristo. Leonardo da Vinci, tuttoché avanzato negli anni, fece mostra a' suoi emuli che non erasi per anco agghiadata quella mano che aveva divinamente tratteggiato la testa di Cristo nel quadro dell'Ultima Cena. Contrucci, solo inferiore al Buonarroti, infonde vita al marmo rinnovando i portenti della Greca scultura. Marc'Antonio di Bologna e Maso Finiguerra, inspirandosi alle parlanti tele del Sanzio, sollevano a non più veduta altezza l'arte dell'intaglio e dell'incisione.

La fortuna di aver avuto il Pontefice a Roma
Oh! se le insane voci di coloro che vorrebbero il Pontefice spoglio della temporale sovranità, avessero trovato eco ne' secoli più remoti, il mondo civile non ammirerebbe ora neppure una delle tante meraviglie, che fanno gloriosa pompa di sé sulle pareti del Vaticano. Senza il Papato non conosceremmo che imperfettamente Michelangelo e Raffaello, e gli altri grandi di quell'età gloriosa.
Invano la rabbiosa stupidità del secol nostro ha tentato di sfrondare la fronte di Leone degli allori accumulativi dalla posterità riconoscente, poiché la storia è fatta, e nella sua sapiente riflessione, a lui ha dedicato un secolo, commentato a lettere d'oro. Difatti che cosa sarebbe stato il secolo XVI° quali i destini d'Italia senza questo grande genio, che assiso sul trono pontificale, ha la splendidezza di Mecenate, il classicismo di Augusto, l'eclettismo di Adriano? Sarìa stato un altro secolo, se non oscuro, affannato per lo meno, come il precedente, ché la patria nostra non versava per fermo in floride condizioni. Lo straniero, tolto il brando di mano ai tirannelli delle nostre terre, gavazzava trionfante nella nostra penisola; rassodandovi vieppiù quel desolato periodo politico, riepilogato nel celebre verso del Filicaja: Per servir sempre o vincitrice o vinta. Or bene, a questa deplorevole condizione pone in parte rimedio il Pontificato. Leone dà uno sguardo alle italiche contrade, e non trovandovi che decadenza ed imbastardimento, concepisce la grande idea di sovrapporre a questo sfacelo morale, l'estetica più squisita della civiltà, portando al loro apice le arti, circondandole coll'aureola delle lettere. Mentre l'ausonio suolo per l'infingardaggine de' suoi baroni, è con ignominia manomesso e depredato, questo gran Papa forma come una oasi storica, che cambierà col tempo il deserto morale non solo della patria nostra, ma dell'Europa intera. Quest'oasi sono le lettere e le arti, che crescono rigogliose all'ombra della sua clamide Pontificale e rendono rispettato il nome Italiano. Per esse alle date che per noi suonano umiliazione e vergogna, quelle possiamo contrapporre in cui Michelangelo pose la prima pietra della sua cupola e Raffaello diede l'ultima pennellata alla sua Trasfigurazione. Per esse l'Italia nostra non è perduta; se più non trova la spada di Cesare, è in possesso della corona di Pericle.

Difesa per Leone
Coloro poi che tacciano il gran Leone d'avere potentemente contribuito col suo esempio a risvegliare e mantenere nelle arti e nelle lettere l'impero dello spirito pagano, pensino che il sensualismo, che tanto si deplora, era una fatalità a cui non potevano le medesime sfuggire. Il richiedere che ad un tratto avesse arrestato l'impetuosa corrente del pessimo gusto di allora, è pretenzione ingiusta ed esorbitante; non poteva quella esser opera né di un solo uomo, né di pochi anni. Del resto ei si mostrò in tutto animato da nobili e generosi intendimenti. In quella che la pseudo-riforma gonfia d'un vano sapere si leva alla rovina de' popoli, tacciando di oscurantismo e d'ignoranza la Chiesa Romana, Leone non doveva rimanersi indifferente: sorse animoso a solennemente smentirla; che se non seppe dar sempre l'esempio della religiosa austerezza, non poco si condoni allo spirito del secolo al quale soggiacciono sovente anche i genii più sublimi, gli spiriti più forti. A tutti son note le atroci calunnie, lanciate contro questo miracolo di Pontefice da Lutero ne' suoi discorsi conviviali, e da' Centuriatori di Magdeburgo, da essi dipinto sempre incurvato sui marmi, in perpetua adorazione della materia, intento solo alle comodità, alle pompe, ai lucri secolareschi.
Ma buon per la verità storica! che non mancano documenti irrefragabili a difesa di Leone ed a condanna de' suoi detrattori. A migliaia si annoverano le sue léttere, le quali ad ogni linea comprovano il suo zelo in pro della religione, il suo amore per la Chiesa, l'animo sempre volto a difendere il dogma cattolico, il suo affetto verso i poveri, la sollecitudine per la salute delle anime, la sua fede viva, illuminata. Tale si addimostra egli al Concilio di Laterano, ove accalora la riforma dei pubblici costumi, la concordia tra i principi cristiani, il buon esempio nel Santuario. Tale nello zelo spiegato verso gli Orientali, sia per conservarli nella sana dottrina, sia per attirarveli, e nelle fatiche sudate per estinguere lo scisma funesto del conciliabolo di Pisa. Tale nell'adoperarsi a tutto potere per l'abolizione della Prammatica Sanzione, infausta origine di mille disordini, e nell'animare i Monarchi d'Europa a reprimere l'implacabile nemico del nome Cristiano. Tale infine nel congiungere con vincolo amichevole, una sagacia meravigliosa con una soavità paterna, la prudenza colla giustizia a far prosperi e felici i popoli suoi sudditi. Taccia adunque, dinnanzi alla eloquente forza dei fatti, la calunniosa invidia de' nostri nemici, poiché a Leone deve il Secolo XVI° le sue glorie più belle. Taccia, poiché l'Italia deve al Papato tutta la sua grandezza, e chi denigra, accusa, calunpia il Papato, o mostra d'ignorare la storia, oppure mentisce.

Esaltazione del Papato e di Leone XIII
Sì, anche a' giorni nostri, mentre il demone della rivoluzione col suo soffio di morte ammorba ed immiserisce le lettere e le arti, spegnendo ogni sublime ideale, ogni nobile aspirazione, è desso il Papato, che cerca un'altra volta come fu già ai tempi dei Goti e dei Vandali, di salvare queste elette figlie dei Cielo dalla ferocia dei novelli barbari. Vi è un punto solo, d'onde apparisce la luce rallegratrice, e questo punto è il Vaticano, e la vita che sembra abbandonare tutte le altre parti, la vediamo raccogliersi là nel cuore sempre ardente di quel venerando Vegliardo. Egli solo infonde il coraggio coll'esempio, egli solo precorre noi fiacchi e dubbiosi con ardor giovanile, e la solerte e sapiente operosità del gran Pontefice raccoglierà frutti ubertosi e trapasserà come per lo passato nel seno degl'Italiani e dei Cattolici tutti.
Oppresso da ostile dominazione, spogliato d'ogni bene, costretto a sostenersi colle oblazioni dei fedeli, degno emulo del X° Leone, in pochi anni di Pontificato ha già compiuto in pro delle scienze, delle lettere e delle arti «Opere di poema degnissime e di storia». Per Lui la nobilissima abside Lateranense è con regale munificenza ristorata così, da destare l'ammirazione e da strappare le lodi anche di chi è meno inclinato a encomiare le opere dalla religione inspirate. Per Lui il maestoso tempio del Sacro Cuore s'aderge al cielo, superba mole fra quante sono state innalzate dal genio moderno! Per Lui si ammira la elegante galleria dei candelabri nel Museo Vaticano, nonché la magnifica Cappella dei SS. Cirillo e Metodio testé compiuta a lustro e decoro della Basilica Clementina. Provvido Mecenate delle scienze e delle lettere, protegge e moltiplica le scuole popolari, feconda di nuovi studii Seminarii ed altri Istituti d'ogni maniera. E perenne monumento di sì generosa predilezione sarà mai sempre l'immortale Enciclica «Aeterni Patris», ove richiama a novella vita l'incomparabile dottrina dell'Aquinate, e se le precedenti età dissero Tommaso d'Aquino l'Angelo delle scuole, il sapientissimo nostro Pontefice ne lo proclama solennemente il Patrono, riscuotendo il plauso di tutti i savii, e gli encomii più splendidi di tutte le cattoliche Università e tutti videro come dovesse onorarsi quel Grande dall'esempio di Leone, il quale aveva già intitolata a lui un'Accademia filosofica che accoglie i più eletti ingegni di Roma, dell'Italia e del mondo, per combattere i moderni errori, e richiamare in onore le razionali discipline!.
Ma questo pareva ancor poco, ché in altre guise ancora volle dimostrare la nobilissima sua predilezione per tutto ciò che è bello e grande. Splendida prova ne è la stupenda lettera «Saepe numero considerantes», per la quale nuovo e poderoso impulso dà agli Studii storici, aprendo agli eruditi più largo accesso ai tesori degli Archivii e della Biblioteca Vaticana. Splendida prova ancora i molteplici lavori d'erudizione suscitati e promossi dalle saggie sue provvidenze, mostrando evidentemente che all'alta sapienza ed opportunità delle idee, di cui si fa banditore, sa congiungere la pronta ed energica operosità nel recarle praticamente ad effetto.
Che dire del forte eccitamento dato alle classiche lingue da lui profondamente conosciute, i cui carmi ne ricordano il nerbo e la concisione di Orazio la dolcezza di Virgilio; le cui Encicliche hanno tutta la maestà del rotondo periodo di Cicerone?
Deh! che l'età presente s'inspiri a' suoi magnanimi esempii e mentre con pompa non più veduta ne celebra il sacerdotale giubileo, ne ascolti ancora docilmente la mite e potente voce, ed a lui guardi come ad unico luminoso faro di civiltà.
Deh! che l'Italia nostra levi dal fondo dell'anima indignata generosa protesta contro que' degeneri suoi figli che bestemmiano ciò, che li innalza sopra tutte le nazioni, che per astii settarii sarebbero parati di togliere dalla sua corona la più splendida e più preziosa gemma. Svincolata una volta dalle speciose lusinghe di coloro che vorrebbero farne il braccio e lo strumento di scellerati disegni e fatta libera di sé, ripiglierà il posto primiero e le gloriose tradizioni degli avi. Com'essi sorgerà a combattere l'Idolatria che rinasce, a costringere i novelli barbari a diventare civili ancora, a far vergognare quanti mettono nelle grosse falangi l'immortale virtù del diritto. Scriverà allora come avrà dato il bando all'eresia ed all'empietà, e come avrà porte le mani, ad esempio de' padroni antichi, alle arti inselvatichite, e le avrà condotte nel Santuario, dove, per così dire ribattezzate, brilleranno della vera cristiana bellezza.
E quando saranno fiaccate le avverse potenze, dalla tomba dell'Alighieri uscirà il soffio dell'altissimo canto, entrerà nel seno di qualche figlio d'Italia, e quel fortunato racconterà in versi immortali l'Inferno, nel quale ci piombò l'apostasia dalla Chiesa, - le dolorose espiazioni, attraverso le quali purgammo l'immane delitto, - e poi la pace che distende le candide sue ali, la virtù che ripiglia il meritato impero, e Cristo che regna, vince e trionfa.

Guido Maria Conforti
(Studente del IV Corso di Teologia)