Skip to main content

Alla ricerca del padre

| Enzo O. Verzeletti - 17/11/2017


Giovanni, testimone della Via.
Giovanni, figlio di Zaccaria, sacerdote del Tempio, non ha seguito pedissequamente le orme del padre. Ha lasciato il tempio e l’attività.

È andato verso il Giordano, ritornando nel luogo dove tutto ha avuto inizio: il deserto.
Chissà se furono le parole di Osea a risuonargli come dirette a se stesso e a scavare in lui la nostalgia di qualche cosa di non ancora provato, sperimentato, toccato nel Tempio dove andava con suo padre: un giorno, io, il Signore, la riconquisterò. La porterò nel deserto e le dirò parole d'amore… trasformerò la valle di Acor in una porta di speranza… mi risponderà come al tempo della sua giovinezza quando uscì dall'Egitto… Israele, ti farò mia sposa, e io sarò giusto e fedele…Ti dimostrerò il mio amore e la mia tenerezza. Sarai mia per sempre.
Manterrò la mia promessa e ti farò mia sposa.
[1]

Giovanni va nel deserto, il luogo in cui Dio parla al cuore di chi cerca; mette una distanza anche fisica fra l’ambiente, a lui noto, nel quale vive quotidianamente, e se stesso; una distanza che ha molteplici significati.
È la distanza tra il figlio e il padre: lo spazio nel quale gli si chiarirà il proprio compito esistenziale, che non sarà una copia di quello paterno.
È la distanza tra la casa di schiavitù e la terra promessa: lo spazio nel quale sarà costretto a rinunciare a tutti i rituali e le abitudini conosciute, perché gradualmente si manifestino le autentiche esigenze interiori.
È la distanza tra il malato e il sano: lo spazio nel quale la sofferenza, fisica e psicologica, può essere diluita e disciolta nel solvente di una comprensione più ampia.
È la distanza tra l’identità che rende riconoscibili nel contesto sociale, più o meno prestigiosa che sia, e l’identità perduta o nascosta dietro la sovrastruttura dei ragionamenti parziali, dei bisogni privi di realtà oggettiva e del desiderio soggettivo misconosciuto.
È la distanza tra il soffio divino e il respiro umano, fra il vento che smuove e il polmone che se ne riempie.
È la distanza tra l’attendere e l’aspettare, tra l’attesa della legna di farsi fuoco e l’aspettativa che diventi calore per alimentare il focolare e accendere le speranze.
È la distanza tra l’ascoltare e il parlare, tra il parlare e l’agire, tra la fine di ciò che è morto e l’inizio di ciò che è vivente.

Giovanni scenderà e si bagnerà nelle acque del Giordano, le stesse nelle quali scende e si bagna l’umanità e il Dio vivente.

Sono le acque che separano dall’errore, affrancando dall’ignoranza.
Sono le acque che uniscono le due sponde del fiume, quella nota che si è lasciata, e quella nuova oltre la quale potremo ricominciare.
Sono le acque che danno vita, perché gli uomini siano come alberi frondosi piantati lungo il fiume.[2]
Sono le acque di chi riconosce con infinito amore tutti i figli come propri figli[3].
Sono le acque dell’altra riva, della frontiera, del confine valicato della terra promessa e della vita donata agli uomini.

Giovanni abita in un deserto dove scorre un fiume; la gente va da lui alla ricerca di un nuovo inizio, di una identità perduta o dimenticata.
Giovanni invita a scendere e a bagnarsi nell’acqua che lava via le identità fittizie, sfronda le apparenze, smaschera le illusioni e mostra insieme la fragilità, antica paura della nudità, e la sconfinata capacità di amare come nuova terra di libertà.
Zaccaria, padre di Giovanni, era sacerdote muto per non aver creduto alla Parola.
Giovanni, figlio di Zaccaria, è voce di uno che grida nel deserto[4], perché altri si sveglino: profeta dell’invito all’ascolto, del nuovo guado, del nuovo inizio per tutti. Giovanni indica la via del nuovo Adamo, di Colui che ci fa conoscere il Padre, quello vero.

E in lui riscopriremo in noi il soffio di Dio per un nuovo respiro.

 

[1] Cfr. Osea 2.

[2] Cfr. Salmo 1.

[3] Cfr. Luca 3, 22.

[4] Cfr. Gv 1, 23.