Skip to main content

...fece come se...

| Enzo O. Verzeletti


"… fece come se dovesse andare più lontano …"
Lc 24, 13-35.

Due discepoli fanno strada.
Si allontanano dagli avvenimenti tristi e sconvolgenti che hanno vissuto negli ultimi giorni a Gerusalemme. Vanno. Per la loro strada.
Pellegrini, avanzano, continuano, vanno avanti con la loro vita, vagano per la loro storia.
Gesù si avvicina, viene a loro, si fa prossimo, cammina con loro: colui che hanno perso, l'altro, l’improbabile, li raggiunge. L'atteso si presenta quando non lo si aspetta più. Lo sperato appare quando non lo si spera più. Presenza reale, sorpresa, nel cuore dei nostri dibattiti e dei nostri combattimenti.
Qualcuno, là, rianima il cuore: miracolo della relazione autentica con l’altro, che fa avanzare in sua compagnia; un altro, là, che conforta e riconforta. Parola che dona di intendere, di comprendere, di ricominciare.

Egli fece come se dovesse andare più lontano...
Non c'è finzione qui, ma al contrario intento vero. Gesù non gioca. Il testo mostra una verità profonda. Gesù non simula il sorpasso, non nasconde che sta ancora facendo strada. Precede sempre, in Galilea. Cammino aperto: via, verità e vita. Dio non si ferma; desidera, prepara costantemente l’oltre: va oltre.
“Fece come se…”: è il velo prima dello svelamento, la sfocatura che precede la messa a fuoco, la nebbia del mattino prima della luce piena, l’ingarbugliato, precursore dell'evidenza. Delicatezza che precede la rivelazione. Cristo non si impone mai, rispetta in senso assoluto la decisione dell'altro, nell'attesa appassionata dell’invito; pronto, se l'uomo non lo chiede, a scomparire nella notte - nella riserva infallibile di se stesso per la libertà sovrana dell'uomo, nello scrupolo pudico per lo spazio dell'altro, che non viola lo spazio altrui. Dio errante, non riconosciuto, preparato al rifiuto. Non mette mai la mano sull’uomo.

Liberi noi, a immagine di Dio!
I due viaggiatori si sforzano di trattenere l’ospite: sta calando la notte ed è bello stare lì; vogliono ancora e ancora la presenza e sentire il loro cuore animato. È questa l’ora delle solitudini che temono l'abbandono. Diventa momento fatto di pane, di comunione, che consacra la conversazione, di riposo e di risposte.
Gesù, compagno nella condivisione del pane, ospite riconosciuto nel dono della propria carne, non può essere scoperto che nel culmine della sua incarnazione: dono di se stesso intero, corpo e sangue.
La manifestazione si svela. L'epifania si scopre nello stesso momento in cui si nasconde. Gli occhi dei due si aprono per non vedere più che loro stessi, uno di fronte all'altro. Capiscono che d'ora in poi il segno, il sacramento, è il fratello.
Questa comunione li rimette sulla strada, ripartono, confermati - ora - nelle loro vite: attraversano l'oscurità, corrono per confermare la loro comunità.

È il mistero delle nostre Eucaristie; ma spesso gli occhi, invece di aprirsi, sono accecati da un'abitudine quotidiana e banale. Dio - vulnerabile, in cerca di uomini - possiamo invitarlo, ma non tenerlo o conservarlo. Non lascia posare la mano su se stesso, fugge, fuori da ogni giogo o gioco, nell’inafferrabile.

Dio libero, a immagine della sua immagine…

E liberi noi, a sua immagine...